SU UN GIORNALISMO ALTERNATIVO SI GIOCANO LE ULTIME CHANCE DI CAMBIAMENTO POLITICO
BLOGControcorrentePoliticaRiflessioni 24/08/2023 Ovidio
L’irresponsabile incapacità mediatica di vera alternativa va a braccetto con quella politica.
Qui il video dell’articolo
Pubblicato anche su Attivismo.info e Sfero
In questi ultimi giorni ho dovuto mettere l’attenzione su Byoblu, di cui ho parlato in alcuni post che potete leggere in questo articolo-raccoglitore dei miei interventi più brevi, per la precisione i post che vanno dal 13 al 15 agosto scorso, messi in ordine di pubblicazione più recente.
Sull’aspetto mediatico riguardante una proposta politica alternativa e sui media alternativi stessi mi sono già espresso qui, per rimarcare le responsabilità di un’informazione indipendente, qui per iniziare a ragionare su cosa dovrebbero fare i media in caso di mancanze della politica, inoltre qui e qui dove cercavo di fornire altre utili riflessioni sull’aspetto comunicativo della politica stessa.
Vista l’incapacità, anzi, l’evidente mancanza di una vera intenzione politica di costruire un’alternativa efficace e di livello istituzionale nel nostro Paese, problema sulla quale potete leggere ed ascoltare tutte le mie riflessioni qui e qui, credo che a tale questione non rimanga altro che essere favorita e sponsorizzata dai media di area, vista anche la tendenza che nella modernità riversa ogni momento culturale, sociale e politico a livello mediatico: il “sistema” di fatto governa emotivamente dai media, dove introduce questioni e agende che entrano nella testa della gente formando il cosiddetto “pensiero unico dominante”, lasciando in sostanza al “legislatore” solo la ratifica di quanto deciso antidemocraticamente in ben altre sedi, da un coacervo di interessi propri della finanza globale, delle corporazioni, degli stati profondi e altre consorterie più o meno occulte.
Alla luce di tutto ciò, un media “alternativo” potrebbe, anzi, dovrebbe necessariamente accentuare di molto la sua vocazione da “quarto potere”, sacrificando un po’ quella cronachistica, per diventare un facilitatore di espressioni, contatti e iniziative per mettere in moto un serio processo culturale di consapevolezza che possa sfociare in un vero meccanismo politico di costruzione e organizzazione.
Purtroppo, ormai con tutta evidenza, anche l’ambito mediatico di area “alternativa”, o presunta tale, non sembra esente da problemi enormi, per certi versi simili a quelli della stessa area politica di riferimento.
Come ho subito premesso in questo articolo mi riferirò a Byoblu, in quanto unica emittente i cui contenuti sono nettamente prevalenti sulla pubblicità. Lascio quindi fuori altri canali che ospitano momenti di discussione comunque più liberi del mainstream o i canali socialmediatici, spesso troppo condizionati per la sopravvivenza dalla ricerca spasmodica di like e follower, e per questo virati sulla continua analisi critica, ma senza proposta, sino ad arrivare troppo spesso a evocare ribellioni emotive, consapevolezze varie e “resilienze comunitarie” che ad oggi non sembrano poter generare un reale cambiamento culturale, sociale e politico di una qualche importanza.
Certo, la dimensione mediatica è assai delicata e complessa, data la molteplicità di piani coinvolti, ma appunto per questo credo che una riflessione globale sulla sua funzione e sulle opportunità del caso sia necessaria, anche in ragione del fatto che in questo particolare periodo storico la cultura, la civiltà del diritto e l’uomo stesso stanno subendo una pesante trasformazione tecnocratica e transumana, sull’onda della tecnologia di controllo veicolata dai vecchi e nuovi centri del “potere globale”.
Questo attacco alla civiltà del diritto e della democrazia, conquiste culturali e civili che ad oggi sembrano destinate a restare “opere incompiute”, non ha un’adeguata risposta politica di segno contrario.
Oltre a questo, la mediatizzazione della politica ci mostra come si debba necessariamente mettere sotto la lente d’ingrandimento ogni momento mediatico che si reputi “alternativo”, per osservare se tale aggettivo sia appropriato alle necessità dovute al particolare momento storico-sistemico appena accennato.
Dopo queste lunghe premesse, torniamo quindi ai miei interventi su alcuni contenuti di Byoblu, con i quali cercavo di mettere in luce quelle che a me paiono essere gravi insufficienze, quando non inquietanti rese di fatto alla mediaticità, alla cultura, ai meccanismi e alla politica dominanti.
Anche se dobbiamo riconoscere come tale rete provi ancora a far parlare persone che normalmente non si vedono nel mainstream, anche su tematiche invise o trattate dallo stesso in maniera scorretta, dobbiamo capire che per marcare una reale differenza con l’universo mediatico di tendenza lo sforzo debba essere assai più profondo: per non diventare solo l’altra faccia della medaglia del sistema e finire per accettare tutti i divide et impera e le varie distrazioni della “società dello spettacolo integrato”, cosa che riesce benissimo praticamente a tutti gli attori dell’area del dissenso, occorre rivedere tutto, a partire dall’impianto argomentativo, per passare al palinsesto, per arrivare a rivedere persino l’impostazione comunicativa nella sua totalità.
I miei post di cui parlavo all’inizio, che vi invito di nuovo di andare a cercare nell’articolo linkato all’inizio, esprimono tutto lo sconforto per l’appiattimento di Byoblu alle consuetudini della stampa mainstream, nella precisione con l’intrusione nella vita delle persone, come possiamo constatare in questo sul caso Segre-Seymandi, commentando il quale invocavo la necessità di una nuova ottica culturale e comportamentale da parte di media realmente riformati, e nell’incredibile avallo del fondatore Claudio Messora al paventato scontro al Colosseo fra i due miliardari. Andate a sentire i “profondi” argomenti messi in campo.
Non contenti di queste uscite, niente meno che la direttrice della rete dopo tre giorni si è esibita in questa intervista, che definirei quanto meno avventata, al presunto portavoce dei cosiddetti “ViVi”, presentato in incognito e con voce alterata.
Sorvolando sulle affermazioni del tipo che accusa Byoblu di censura proprio mentre la rete gli da voce, il vero problema è un altro, globale, e non riguarda tanto la deontologia, ma l’opportunità: il problema è relativo proprio alla politica, sia politica-politica, sia politica editoriale.
Partendo dall’aspetto deontologico: non mi riferisco tanto a quello relativo al rispetto delle regole del giornalismo e della verità, ma in effetti, e soprattutto, a quello della responsabilità, che passa dalla consapevolezza riguardo la forza e la profondità dei mezzi espressivi in questione.
Per spiegarmi meglio: l’area del dissenso è, obiettivamente, politicamente nulla e inefficace, oltre ad essere “infestata” da un’estesa antipolitica, che passa per un rifiuto dell’organizzazione e per il ripudio delle istituzioni liberali, le stesse che i poteri forti e lo stato profondo occupano antidemocraticamente; è poi invasa da tematiche distraenti dalla politica, una faccia uguale e contraria allo spettacolo integrato del mainstream, oltre al fatto che quando apparentemente si interessa di politica è in mano a personaggi che sono né più né meno che influencer velleitari e personalistici, incapaci anche solo di pensare di dover parlare a TUTTO il paese, ad un platea che non sia quella dei loro follower da cui ricavare like e visualizzazioni.
Insomma: una rete relativamente importante come Byoblu, invece di dare indiscriminatamente voce a tutto il panorama di una presunta “area del dissenso”, mai così antipolitica e confusa, arrivando a intervistare presunti rappresentanti di un “nulla” politico che promette di cambiare il mondo con le loro “azioni”, del tutto antipolitiche, potrebbe e dovrebbe avere la responsabilità di scremare culturalmente e metodologicamente tematiche e personaggi che non contribuiscono ad una vera proposta di ripristino di un vero stato di diritto e della Repubblica Italiana, per favorire momenti di discussione e momenti più organizzativi volti alla costruzione di una vera cultura, per una vera classe politica, per una vera politica alternativa.
Venendo alla drammatica intervista, ad un certo punto si innesca una questione certo di “rilevante” interesse nazionale, esattamente una polemica riguardante una vecchia scritta sui muri in cui mi pare si definisca Messora come nazista, in teoria firmata dai “ViVi”, e un’altra occasione in cui una scritta del “movimento” avrebbe contribuito a bloccare un corso formativo a Palermo che aveva contenuti non in linea con il mainstream: il presunto portavoce ammette che se avessero avuto notizia della questione non avrebbero fatto quella scritta in quel momento, ammettendo di fatto l’inconsistenza e la caratteristica controproducente di qualsiasi azione spontaneistica, non riducibile a una ben determinata e chiara strategia politica.
E quando ammette che loro sarebbero degli “analisti” di conflitti, fossi stato nell’intervistatrice gli avrei detto una cosa del tipo: “Bene, chi mi garantisce che non sei dei servizi segreti e che stai agendo per una precisa strategia tesa a creare una teoria di apparente lotta, ma fatta in modo che sia facile demonizzarla e annullarne i contenuti attraverso la comoda delegittimazione complottistica accentuata dall’anonimato?”
E quando sempre il presunto portavoce, parlando di schemi mentali e citando L’Arte della guerra, parla del fatto che un topolino non deve mai essere messo in un angolo perché potrebbe diventare una tigre, creandogli quindi un recinto dove ribellarsi apparentemente, come può escludere il fatto che lo stesso ribellismo spontaneistico delle scritte sui muri e di azioni fatte nell’anonimato e senza costruzione politica e strategica non faccia proprio parte del recinto?
Poi vorrei dire una cosa riguardo la questione dell’anonimato, rivendicata dal presunto esponente della presunta “forza” combattente, che afferma chiaramente, rivolgendosi alla giornalista, come il fatto di “metterci la faccia” non sia un valore, ma addirittura “un valore creato da questa società apposta per farla deteriorare, perché si avvantaggia ego e vanità”.
La direttrice di rete non risponde sulla questione, provo a farlo io: credo che confondere e travisare le questioni culturali e politiche innescate dalla “società dello spettacolo” con una semplificazione ad uso e consumo di una reazione non certo politica e istituzionale, ma solo socialmediatica e movimentista in favore di un “ribellismo” inconsistente e inefficiente, sia quanto di più deleterio ed illusorio possa esserci.
Come si può fermare l’enorme avanzata della cultura scientista e tecnocratica, accelerata in questi ultimi anni, se non denunciandola autorevolmente, anche mettendoci la faccia?
Come si può pretende che le scritte sui muri creino una responsabile cultura civile, quando non si pensa più di restituire le stesse istituzioni alla funzione costituzionale che le è propria?
Per chiudere, riguardo alla questione che definivo come “impostazione comunicativa”, intendo andare anche oltre le necessarie riflessioni riguardanti le già accennate necessità di impostazione “politica-politica” e “politica editoriale”, perché credo si debba dire qualcosa sulla “politica estetica”: credo che per marcare una reale differenza con il mainstream si debba necessariamente evitare tutte le consuetudini editoriali e tecniche di quella che potrebbe essere chiamata “PNL mediatica”, atte a mantenere il fruitore in uno stato costante di attenzione allertata e forzata capace di tenerlo, come fa appunto il mainstream, in un frullatore emotivo e strillato di allerta/speranza, che mai si fa politica, una fatale dicotomia “reattiva” che certo non aiuta ad uscire dalle sterili “routine” del pensiero “antagonistico” che naturalmente emergono dall’assenza di costruzione politica.
Verificata ormai ampiamente l’incapacità politica per un dissenso costruttivo e propositivo, stante l’evidente mancanza di una classe politica adeguata, non possiamo sperare, almeno finora, in un’adeguata capacità culturale e mediatica di sopperire a tale mancanza.
Mai il futuro ci appare così minaccioso, sapendo cosa la tecnocrazia globale sta preparando come controllo digitale e totale, espressione di un “progresso”, anch’esso digitalizzato, finalizzato alla creazione di una cultura di controllo globale del pensiero che diventa inevitabilmente controllo dei corpi, che già non sanno più di appartenere a degli esseri che potrebbero liberarsi, personalmente e collettivamente.
24 agosto 2023
fonte immagine: Business Peolple
Per chi non conoscesse le mie proposte politiche, segnalerei qui il libro su quello che ritengo indispensabile, un “Partito Unitario di Liberazione Nazionale”, qui il successivo articolo in cui delineo una possibile strategia, qui un articolo in cui illustro delle questioni necessarie ad una possibile “politica nuova” e qui alcune questioni relative alla comunicazione politica. Infine, in questa sezione del blog trovate tutte le proposte formulate nel corso degli anni.
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