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Abruzzo: come battere lo spopolamento dei paesi di montagna Abruzzo: come battere lo spopolamento dei paesi di montagna
Fabrizio Zani Il problema più grave, o meglio la conseguenza di tutti i problemi che le amministrazioni dei piccoli comuni si trovano ad affrontare,... Abruzzo: come battere lo spopolamento dei paesi di montagna

Fabrizio Zani

Il problema più grave, o meglio la conseguenza di tutti i problemi che le amministrazioni dei piccoli comuni si trovano ad affrontare, è quello dello spopolamento.

Le cause dello spopolamento sono oggi essenzialmente economiche.

Fino a qualche decina di anni fa, era molto forte anche la questione culturale, che portava gli abitanti dei paesi verso la città, vista come conquista sociale, come luogo in cui la qualità della vita era migliore.

Si trattava di un mito, conseguenza della cultura industriale e metropolitana, che portava con sé il disprezzo per la vita contadina, per i mestieri legati alla terra, proprio quei mestieri, in particolare la pastorizia, che avevano portato alla nascita di cittadine vere e proprie, spesso ricche, e sepolte fra montagne quasi inaccessibili (si pensi a Scanno).

Questo mito ha portato al grosso dello spopolamento: quando la tendenza si sarebbe potuta arrestare, perché l’idea di qualità della vita, visto soprattutto il livello di inquinamento e di invivibilità sociale raggiunto dalle metropoli (il costo della vita è ormai insostenibile anche per chi abbia stipendi accettabili) è radicalmente cambiata, l’emorragia è continuata perché ormai l’apparato produttivo si era dissolto proprio per mancanza di consumo. I piccoli esercizi commerciali hanno ceduto la loro clientela locale ai supermercati dei centri più grandi, e così sono venuti meno i posti di lavoro, e l’impoverimento è cresciuto.

Il crollo della natività, fenomeno generalizzato che ovviamente ha coinvolto i paesi, ha fatto invecchiare enormemente la popolazione residente, e le entrate dovute alle pensioni di anzianità hanno il difetto di ridursi anno per anno, mano a mano che i pensionati muoiono. Le scuole hanno mano a mano perso alunni, e dunque maestri e insegnanti.

Insomma ci si trova davanti a un circolo vizioso dal quale si può uscire solo con un forte intervento vuoi dello Stato, vuoi delle amministrazioni regionali, vuoi dei comuni stessi: ma anche degli abitanti che molto potrebbero fare se avessero a cuore il futuro delle loro comunità.

Se esaminiamo quelle che sono, ad oggi le misure prese per contrastare il fenomeno, ci accorgiamo che mancano, nella quasi totalità dei casi, di una visione di insieme, e di quella gradualità, che pure, ovviamente, deve prevedere tempi ragionevoli, è indispensabile per ottenere risultati corposi e duraturi.

Non è questa la sede per approfondire e criticare le politiche di ripopolamento messe in atto: mi interessa invece indicare ai sindaci quella che è la strada migliore.

I sindaci, le amministrazioni cosa possono fare?

Devono innanzitutto rendere appetibili i loro paesi per chi ha in effetti la possibilità di trasferirsi senza complicazioni.

Prima, dunque, di dare incentivi economici alle imprese, perché instaurino le loro sedi nei territori secondo una logica da vecchia economia produttiva) bisogna individuare queste categorie.

La prima è quella dei pensionati.

Un pensionato che viva nella periferia di una città medio-grande, costosa, spesso degradata e comunque inquinata può trasferirsi praticamente dall’oggi al domani se trova una condizione favorevole.

Ora, quali sono le esigenze di un pensionato?

Una casa, da acquistare, permutare o prendere in affitto a basso prezzo, confortevole. Negozi che assicurino la possibilità di avere il minimo indispensabile (alimentari, igiene personale, igiene della casa).

Collegamenti comodi con il centro più grande, per i supermercati, gli uffici pubblici indispensabili.

Un servizio che lo aiuti in tutte quelle pratiche per cui oggi è indispensabile l’uso del computer e per tutte quelle situazioni in cui è richiesta una buona conoscenza della tecnologia e del modo di usarla. E lo aiuti anche in situazioni in cui è richiesta forza fisica, come lo spostare un mobile o il caricarsi una spesa particolarmente gravosa (bombola del gas, mangime per animali ecc.).

Un servizio medico di base e una farmacia.

Come si può vedere, tutte queste condizioni sono soddisfatte dalla quasi totalità dei paesi del vicinato, facendo eccezione per un centro di aiuto. Questo centro d’aiuto lo vediamo oggi estremamente necessario già nelle condizioni date, in cui spesso gli anziani sono costretti a snervanti e faticose attese all’ufficio postale, quando potrebbero completamente operare da casa o addirittura dal bar con il solo aiuto di un telefonino. I pochi centri anziani funzionanti sono generalmente gestiti da volontari, e si occupano di socializzare, con tombolate e cose del genere.

Invece un Centro Anziani con le caratteristiche su descritte migliorerebbe sensibilmente la vita degli attuali abitanti, e adeguatamente pubblicizzato e fatto conoscere sarebbe un eccellente spinta al trasferimento. Qui, la mancanza di capacità dimostrata dalle amministrazioni è lampante, dato che per più di due anni i comuni avevano a disposizione gratuitamente i percettori del reddito di cittadinanza, che avrebbero dovuto fare lavori utili, in base a progetti precisi. Gran parte dei percettori erano soggetti giovani e perfettamente in grado di svolgere i compiti che abbiamo indicato, e in generale di aiutare l’anziano. Che poi, certo, anche l’organizzazione di una vita sociale, con corsi per la terza età, giochi, gite, ha una sua funzione che non va abbandonata.

Dunque costruire una proposta che attiri i pensionati non è per nulla difficile, richiede una spesa minima (uno stipendio, o meglio ancora l’utilizzo del servizio civile) un po’ di fantasia e di pubblicità. Di questo ultimo aspetto ci occuperemo fra poco.

Detto dei pensionati, passiamo ad occuparci di altre categorie.

Possono trasferirsi in un paese tutti quelli che svolgono un lavoro tramite internet.

Oggi sono moltissimi quelli che lavorano da casa, o comunque svolgono la loro attività davanti a un computer. Il difetto di questo modo di lavorare è la fine, sostanziale, di quel rapporto personale che si sviluppa normalmente fra chi lavora nello stesso ufficio, malamente sostituito dai social, dalle videochiamate eccetera.

Nelle città più grandi, sono attivi centri chiamati di co-working, in cui le persone svolgono il proprio lavoro in compagnia di altri. Questi centri sono nati soprattutto allo scopo di condividere le spese di un ufficio. Col passare degli anni, le spese relative a internet sono scese a picco, tant’è che ognuno di noi col suo telefonino può navigare in continuazione con una una ventina di euro al mese, e spesso anche meno. Ma nel corso degli anni ci si è accorti della funzione sociale, che oggi è preminente.

Ogni comune dovrebbe predisporre un locale confortevole e facilmente raggiungibile (condizioni queste indispensabili) con a disposizione alcune postazioni fisse di computer, i servizi base e più collegamenti internet veloci che assicurino la disponibilità della rete da più operatori per evitare i sempre in agguato black-out. Anche in questo caso, come si vede, la spesa è minima, e comunque avrebbe poi un costo, sia pure necessariamente minimo, per i fruitori, con cui il Comune già pagherebbe le spese correnti.

Se il possibile nuovo abitante è un single, o una coppia senza figli, è chiaro che dal punto di vista ludico e più propriamente sociale, fatti salvi casi particolari, la vita di paese non sarà esclusiva, grazie alla possibilità di spostarsi rapidamente con mezzi propri e all’esistenza di centri più grandi non distanti. Quindi non è necessario predisporre altro.

Diverso, enormemente diverso è se si punta, come occorre assolutamente fare, a coppie con figli in giovanissima età. In questo caso, dato che la prima conseguenza dello spopolamento è la chiusura degli asili e delle scuole elementari, le famiglie devono mandare i bambini nel paese più grande più vicino.

Certo, esiste già ovunque il servizio di scuola-bus, ma questo è appunto strettamente legato solo agli orari scolastici. Invece, uno degli esiti della scuola è quello di mettere in relazione i bambini anche al di fuori delle aule: feste di compleanno, giochi di gruppo, sport.

Qui entra in campo un idea per niente praticata, eppure molto semplice: quella di mettere in rete i paesi vicini, di modo chei bambini, ma anche i giovani e gli adulti, possano condividere le attività come succederebbe in un unico paese.

Le distanze sono spesso, direi sempre, minime. Quello che manca clamorosamente è la condivisione, per cui ogni Comune fa vita a sé, e in quelli maggiormente spopolati, senza una scuola o un asilo i bambini, tornati a casa, non hanno uno straccio di compagno di giochi. Questo sì che è un grosso ostacolo al trasferimento di una famiglia, oltre a essere a oggi una grossa mancanza nei confronti dei bambini che nel paese già vivono.

E’ purtroppo vero che la mancanza di condivisione è causata anche e forse soprattutto dalla mentalità dei paesani, che in maniera veramente buffa restano legati alle realtà di 40 o 50 anni fa, quando, prima dello spopolamento, ogni comunità offriva ai suoi membri, in piccolo, quello che poteva offrire una cittadina: delle scuole abbiamo detto, ma quasi ovunque c’era la sala da ballo, il cinema, il bar col biliardo, il gioco delle carte, la squadra di calcio col suo campo sportivo, le feste in piazza.

Oggi tutto questo è sparito, comunità di 3/400 persone, in gran parte anziani, conducono una vita sociale ridotta al lumicino, i giovani se ne vanno dopo il diploma, prima per l’Università, poi per un lavoro.

Una famiglia con figli non viene a seppellirsi in una situazione del genere, proprio perché non vede, per i bambini, una qualità della vita accettabile.

Solo con la condivisione si può superare questo scoglio. I paesi spopolati vicini devono associarsi, mettersi in una rete paritaria, e raggiungere una massa critica che restituisca la possibilità di una vita comunitaria indipendente.

I Comuni devono avere una funzione sia organizzativa che di stimolo, con incentivi e finanziamenti, anche piccoli, che sarebbero sempre “investimenti” e non spese, perché una vita sociale più ricca e intensa comporta una circolazione di denaro che rafforza l’economia del paese.

E questo ci porta all’ultimo punto, quello del lavoro.

Questo è in assoluto il tema su cui i sindaci e gli amministratori si sono rivelati più miopi, non certo in Abruzzo o nel nostro vicinato, ma ovunque in Italia. Infatti, tutte le politiche per il lavoro e il rilancio economico dei paesi sono puntate all’attrarre investimenti e apertura di attività industriali o artigianali sul territorio. Dimenticando del tutto la vocazione del territorio stesso. E’ così che invece di rilanciare alla grande la pastorizia, lasciata a pochi imprenditori visionari, invece di rilanciare l’agricoltura specializzata di montagna (coltivazioni in serra, erbe officinali, colture specifiche e di nicchia ad alta redditività) ci ritroviamo magari piccole aziende elettroniche che danno lavoro a tre o quattro giovani, e resteranno fino a quando non troveranno condizioni migliori, magari in Albania, o in Bangladesh. E il turismo?

Accanto a eccellenze ormai affermate, ci sono decine di splendidi paesi completamente sconosciuti, paesi arrivati pian piano allo spopolamento completo, e oggi abitati soltanto nel mese di agosto dai proprietari di seconde case: questo, proprio questo il destino che aspetta tutti gli altri, se non ci si vuole dare un preciso programma di rilancio.

La condivisione ed il coordinamento sono fondamentali. Lavorando in solitudine si può raggiungere qualche obiettivo, ma è la sinergia la chiave che può permettere lo stop allo spopolamento ed il rilancio dell’economia e della vita sociale di ogni paese.

Certo, anche in sinergia, i piccoli comuni non hanno una gran forza economica. Il ruolo della regione e dello stato è importantissimo: si pensi solo a quanti interventi di messa in sicurezza e miglioramento del territorio potrebbero essere sviluppati e quanti posti di lavoro potrebbero essere creati, oltre all’afflusso di lavoratori che spenderebbero gran parte dei loro salari negli esercizi dei paesi, prenderebbero case in affitto e magari finirebbero per stabilirsi. I sindaci, che sono tutti legati, in un modo o nell’altro a partiti che hanno voce in capitolo per le scelte della regione e del governo, devono imporre come elemento centrale di tutte le politiche proprio la lotta allo spopolamento, ma a partire da queste considerazioni e proposte. Ma soprattutto, i sindaci non dovranno “aspettare” l’intervento dello Stato o della Regione, ma iniziare il lavoro, per poi mostrare i primi risultati.

Infine, e qui ritorna il concetto di condivisione, tutte le realizzazioni, tutti gli inviti, tutte le proposte dovranno essere sostenute da un forte e capillare lavoro di promozione. Questo lavoro dovrà avere gli abitanti stessi e i paesani trasferiti come protagonisti, attraverso le loro pagine social che potranno diffondere ovunque il messaggio. Sono migliaia gli abruzzesi sparsi per l’Italia e addirittura per il mondo, persone che amano ancora profondamente la loro terra e hanno seconde case, vengono costantemente per le vacanze e non chiedono di meglio che di farsi ambasciatori di un progetto come questo. Un sito dedicato, con servizi specifici, che grazie alla rete social si diffonda ovunque: questo lo strumento che deve essere costruito.

Fabrizio Zani

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