ovidio news
Incontro con il 18 volte azzurro di atletica Gino Carrozza Incontro con il 18 volte azzurro di atletica Gino Carrozza
Conversare con il professor Luigi Carrozza è un tuffarsi completamente nelle acque dello sport, poiché “Gino” è un personaggio che a Sulmona innanzitutto vuol... Incontro con il 18 volte azzurro di atletica Gino Carrozza

Conversare con il professor Luigi Carrozza è un tuffarsi completamente nelle acque dello sport, poiché “Gino” è un personaggio che a Sulmona innanzitutto vuol dire sport praticato ad alti livelli agonistici, insegnato, allenato, vissuto, raccontato da una vita. Dapprima atleta, campione italiano dei 400 mt ostacoli a Napoli nel 1962, 18 volte azzurro nella Nazionale assoluta e partecipante ai Campionati Europei assoluti di Budapest nel 1966; poi insegnante di Educazione Fisica a scuola e docente all’Università, giornalista sportivo e comunicatore, autore di testi, infine da sempre in attività con le sue associazioni sportive e, dal 1976, nell’ ASD Amatori Atletica Serafini che oggi dirige insieme a suo fratello Domenico Carrozza e ad Annelies Knoll, entrambi docenti ed allenatori, una realtà che oggi ha 120 tesserati e un palmares di tutto rispetto con campioni saliti all’onore delle più prestigiose ribalte sportive nazionali ed internazionali: Luigi e Michele Carrozza, Roberto Tirino, Luca Santangelo, Carlo Lisi, Paolo Di Stefano, Giulio Perpetuo, Michele Carrozza jr., Luca Malvestuto Grilli, Claudia Ferrelli, Daniela Sciullo, e recentemente la giovane giavellottista Sara Scudieri, 6^ ai campionati italiani… tutte brillanti realtà locali valorizzate dalla Associazione.

Professor Carrozza, lei è Presidente della pluri-premiata realtà atleticosportiva sulmonese l’ADS Serafini, che cosa significa oggi fare sport a Sulmona e in forma totalmente gratuita?

Lo sport cittadino, rispetto a una quindicina di anni fa, ha decisamente fatto un passo indietro. Oggi si guarda troppo alle attività dei centri, dei bambini, dei giovanissimi (ed è buona cosa) senza, però, occuparsi minimamente di ragionare a lungo termine, senza costruire un futuro agonistico o atletico a chi avesse talento e capacità: alla formazione, insomma, non segue la preparazione effettuata con professionalità. E questo dipende molto dal fatto che tutto il settore dell’insegnamento dell’attività motoria è stato lasciato in balia di addetti ai lavori, i “praticoni” dello sport, non formati professionalmente, non laureati in scienze motorie.

Un meccanismo inceppatosi forse da oltre un trentennio, con un CONI che aveva molto modificato la sua presenza sul territorio. Secondo lei la recentissima Legge Delega sullo Sport (la 86/2019), tanto osteggiata e messa in discussione dal Comitato Olimpico Internazionale e dal nostro CONI, ma che ha stabilito regole precise anche in questo ambito, può cambiare le cose in meglio?

E’ ancora presto per dirlo: dopo che il totocalcio non ha più finanziato il CONI, i fondi a disposizione delle federazioni sono stati fortemente decurtati in favore di quelli utilizzati per la gestione interna del CONI stesso. Con la creazione di questo nuovo organismo, la società Sport e Salute, sono stati messi dei paletti precisi dando al Coni la sola gestione dei finanziamenti per le proprie attività, si è nella prima fase e occorrerà del tempo per mettere a regime tutto il sistema. La cosa buona, oltre ad es. alla norma che prevede l’obbligo di essere laureati per poter insegnare e allenare, è la politica intrapresa da questa nuova legge: c’è molta attività territoriale, finora completamente trascurata, che con questo nuovo sistema viene rivitalizzata dai contributi distribuiti capillarmente, ad es. a chi fa attività in periferia, o nelle carceri, ecc. insomma a quelle associazioni registrate nell’albo del CONI e che operano sul territorio. Spero che con ciò finisca quel momento buio che abbiamo attraversato in cui ad esempio il CONI non aveva cognizione di nulla, né delle associazioni né delle strutture e di come venivano gestite. Io ritengo che questo nuovo gruppo politico di gestione ha dei nuovi obiettivi che potenzialmente ci fanno ben sperare: finora non si era mai visto che lo Stato desse direttamente dei contributi a chi svolgesse accreditata attività sportiva sul territorio, in forma gratuita per i ragazzi.

Come vi sostenete come Associazione?
Ci auto finanziamo, con gli sponsor ed organizzando eventi di alto profilo nazionale ed internazionale e così riceviamo piccoli finanziamenti regionali previsti per associazione “emerite”. I nostri ragazzi possono praticare l’atletica ed allenarsi gratuitamente. Lo sport non può e non deve gravare sulle famiglie, poiché lo sport è salute, disciplina ed educazione ai valori sportivi ma anche di convivenza e socializzazione, i talenti non possono andare persi.Solo se i ragazzi vengono a fare attività possiamo scoprirne di nuovi ed indirizzarli. I talenti sono un patrimonio della comunità, e dev’essere agevolata in ogni modo la valorizzazione di quelli locali. Quanto, a giudicare dal suo osservatorio, manca una base atletica ai nostri giovani? Senza incorrere nel rischio di fare propaganda direi che una buona base atletica è la condizione necessaria e irrinunciabile alla pratica, a qualsiasi livello, di qualsiasi sport.

I giovani sulmonesi: come si relazionano all’atletica?
Non sembri banale ma i giovani di oggi sono bravissimi a darsi delle ottime “scuse” per muoversi poco. Potrei dire che sono “distolti”, e con ciò intendo che hanno molti mezzi che li distolgono dal praticare attività in maniera seria e continuativa, con passione e costanza, ma anche che forse il sistema “li distoglie”: secondo me si potrebbe fare invece qualcosa per farli tornare a fare atletica, un’attività fondamentale per il loro benessere.

Veniamo a un’altra nota dolente: come siamo messi a strutture, qui a Sulmona?
Parlando di strutture fruibili pubbliche, qui abbiamo due palazzetti dello sport (neanche a Pescara li hanno), tre campi di calcio, una piscina, un campo da rugby, una pista di atletica tra le migliori a livello nazionale (nel Complesso Serafini, che gestiamo noi della Serafini dal 1999), campi da tennis, più tutte le palestre di ciascuna scuola di cittadina: non mancano dunque le strutture (magari si potrebbero crearne di nuove: manca una pista ciclabile, ad esempio). Certo c’è il problema della gestione delle strutture pubbliche date in affidamento dal Comune alle associazioni, il problema di una razionale attribuzione degli orari di fruizione, seguendo delle priorità che abbiano un senso e non siano improntate a criteri magari di tempistica della richiesta ma tengano conto del tipo di attività da svolgervi e da parte di quale fascia di età dei ragazzi.

Che cosa manca, ancora?
Manca un’attività agonistica adeguata, programmata e mirata: prima c’era una squadra di calcio in serie D, Basket e Volley in serie B… Oggi nulla più di tutto questo. Manca la cura della comunicazione: ad esempio un testimonial. Manca il principio della considerazione e del riconoscimento sociale: il Comune, ad esempio, dovrebbe premiare un atleta che si è particolarmente distinto, poiché quel ragazzo va considerato un patrimonio sociale e gli va riconosciuto pubblicamente. Il nostro assessorato allo sport manca di quella spinta e di quella forza per chiedere ed ottenere a bilancio fondi per ristrutturare ad es. il Campo Mezzetti, che giace in uno stato penoso, nonostante le migliaia di euro spese, ma già in degrado perché non manutenuto; all’assessorato manca la capacità di custodire gli impianti: qui tutti hanno le chiavi di tutte le strutture, senza controlli; non si assumono custodi. Assumere i custodi ha certo un costo al quale si potrebbe ovviare con la nostra proposta: anziché ad esempio pagare 50.000 euro al personale specifico, potrebbero darne 20.000 alle associazioni che si occuperebbero oltre che di fruirle anche di manutenerle.
La disponibiltà degli uomini di sport c’è tutta e il Comune dovrebbe ascoltarla. Le soluzioni possiamo trovarle insieme.

Insomma l’impiantistica sportiva di base potrebbe assolutamente essere gestita in modo assai più efficace, senza dimenticare mai che il benessere della comunità passa anche dalla sua salute psicofisica. Un ruolo di cui l’istituzione pubblica può e deve farsi carico, utilizzando tutti gli strumenti di cui può disporre.

Maria De Deo

(Questa intervista è apparsa sul numero zero, su carta, di Ovidio News. L’immagine è tratta da una trasmissione dell’emittente ONDA TV)