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Spopolamento delle aree interne, Comitato Mo.Ve.Te.: una ferrovia per la rinascita dell’Abruzzo Spopolamento delle aree interne, Comitato Mo.Ve.Te.: una ferrovia per la rinascita dell’Abruzzo
La notizia preoccupante è che dal 2014 ad oggi l’Abruzzo ha perso 35.000 abitanti. A spopolarsi sono soprattutto le aree interne. Il fatto di... Spopolamento delle aree interne, Comitato Mo.Ve.Te.: una ferrovia per la rinascita dell’Abruzzo

La notizia preoccupante è che dal 2014 ad oggi l’Abruzzo ha perso 35.000 abitanti. A spopolarsi sono soprattutto le aree interne. Il fatto di per sé è già drammatico ma c’è di peggio: il decremento è di circa il 20% ogni anno, quindi la questione è tutt’altro che semplice; la decrescita non è in diminuzione, non è costante, ma è in progressivo aumento.

Il dado demografico è tratto. O per meglio dire: l’ultima carta del castello di carte è stata sfilata. L’effetto domino non potrà più essere contrastato con azioni a macchia d’olio, perché mettere una pezza sul buco non basta più al vestito logoro. C’è bisogno di una soluzione precisa, ma è necessario volerla. Il popolo esige strategie efficaci per immaginare un futuro possibile. E c’è solo un modo per tranquillizzare chi sta facendo frettolosamente i bagagli: la soluzione si è sempre chiamata evoluzione ma non c’è evoluzione senza progresso: il problema attualmente è che ci troviamo in un limbo, in piedi sul trampolino senza saltare. Ma di che genere di progresso ha bisogno la società di oggi?

Quando ci fu la Rivoluzione Industriale le campagne si spopolarono perché il lavoro vero e la vita sociale erano ormai nelle città. Ebbene, quello che sta succedendo oggi è la conseguenza di una rivoluzione, ma diversa, che non porta dietro di sé posti di lavoro, ma piuttosto li elimina e li elimina definitivamente. Come mai? Il crollo è culturale ma il cambiamento è antropologico: la tecnologia non è più al passo con le intelligenze, ma incrementa carenze strutturali di chi oggi è giovane. Il futuro è sintetico, evanescente, olografico. Quella odierna non è più una società che ha bisogno di lavoro, ma di coordinare le sue possibilità in funzione di una distribuzione della ricchezza che è già esistente, trasformando la non esigenza lavorativa in sfogo delle passioni, fantasia, genialità, grandezza, se pensiamo, come io credo, che il futuro dell’umanità non sia soltanto un miliardesimo per cento dell’universo. E non è più un ragionamento alla Robin Hood questo, come quando c’erano nobili ricchi e schiavi poveri, ma è l’unica possibilità per non estinguersi, perché senza quelle passioni geniali non ci sarà più futuro per un’umanità guidata da pochi poteri forti (multinazionali, banche, oligarchie finanziarie, lobbies, ecc… – oggi, pure volendo, contro chi la fai la rivoluzione?-). Per andare davvero oltre dovremo rinunciare definitivamente ad aspetti caratteriali insiti nell’uomo mediocre come, l’egoismo, l’ingordigia e il protagonismo individuali, ma questo è un altro discorso.

Ma torniamo all’Abruzzo. Unirsi e ripartire dal basso. E’ noto come l’evoluzione nostra territoriale, ma anche dei popoli in generale è passata dalla chiusura delle Città Stato, ad un’economia di scambio attraverso le “vie”: lo avevano capito i romani, lo perseguì (per quanto ci riguarda), Federico II nel medioevo per ricostruire il Regno dopo lo sfacelo, e lo si realizzò nell’epoca industriale attraverso la ferrovia. Perché il progresso più immediato, in questo momento, per progettare una evoluzione sociale in Abruzzo si chiama ANCORA ferrovia. La modalità meno inquinante, più veloce, che rispetta l’ambiente e che ottimizza il nostro tempo consentendoci altre attività durante il viaggio.

Se le vie romane fossero mappe metropolitane – particolare – in copertina tutta l’Europa

Il Comitato Mo.Ve.Te., nell’ultimo periodo ha organizzato incontri e convegni per promuovere uno studio di fattibilità per il potenziamento di una infrastruttura, in grado di collegare Roma e Pescara in 90 minuti e Roma e L’Aquila in 100 minuti. Tutto questo è molto più di una “semplice grande opera”: sarebbe il primo tassello di un effetto domino al contrario, che pezzetto dopo pezzetto consentirebbe all’Abruzzo e alle sue aree interne di tessere un vestito nuovo e bellissimo. Perché per progredire è necessaria una via della seta in grado di ristrutturare tutto ciò che è divenuto vetusto, abbreviare i tempi per attraversare un territorio ricco di potenzialità culturali, industriali e sociali, considerate come patrimonio da valorizzare in un’ottica “Glocal. Dunque non si parla di costruire un corridoio di passaggio, ma di consentire una via che renda l’Abruzzo parte integrante di una rete produttiva. L’esigenza è di formulare un’evoluzione della domanda offerta, che arresti in primis l’emorragia dello spopolamento e, conseguentemente, di generare nuove realtà produttive: finalmente incentrate sulle nostre risorse e peculiarità, un patrimonio di arte cultura e passione che non può estinguersi nell’inerzia globale.

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