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Sociologia politica del fenomeno covid: stato etico o etica dello stato? Sociologia politica del fenomeno covid: stato etico o etica dello stato?
Sapevo che prima o poi avrei avuto uno sbrocco intellettuale, calibrato: ed eccolo, in ogni sua sfumatura meditata, vi assicuro. Il tema è il... Sociologia politica del fenomeno covid: stato etico o etica dello stato?

Sapevo che prima o poi avrei avuto uno sbrocco intellettuale, calibrato: ed eccolo, in ogni sua sfumatura meditata, vi assicuro.

Il tema è il COVID non come argomento clinico-medico ma come fenomemo sociologico e, per forza di cose, di riflessione sullo Stato che ci governa ed è stato chiamato a “gestire” un fenomeno che, a tal proposito propendo a pensare, gli è stato imposto di gestire.

Ma andiamo per gradi.

In un certo tempo “Scoppia” l’epidemia e con essa un’idea di epidemia, ovviamente. Non vogliamo qui dare una risposta ardua alla domanda se il virus sia esistito e perché, da dove provenga ecc. ecc. No. Vogliamo semplicemente analizzare il suo “portato” socio politico a fatto avvenuto. Quello economico andrà di default da quanto conseguirà dall’analisi di primo livello.

Leviathan _ T. Hobbes 1651

Ebbene innanzitutto dovremmo riflettere su un’immagine potentissima che ha sotteso, ab origine, al concetto “moderno” di Stato, nato fra sei e settecento dall’aggiustamento di un’idea di Hobbes da parte di Locke. Thomas Hobbes, riconosciuto ideologo del nascente Stato assoluto, immaginò e “disegnò” questa entità astratta come un composto di tante persone, individui che andavano a riempire la silouette della massima entità sovrana per lui: il re (neanche tanto astratta!). E questo per evitare a se stessa di autodistuggersi dando adito ai più perniciosi istinti umani. Nella matrice anglosassone, tuttavia, sappiamo bene che un re, per quanto assoluto non può esserlo mai come fu poi In Francia ad esempio… poiché ha sempre necessità di essere contenuto da un delicato sistema di equilibri di potere effettivi e ineludibili, i comites del re (magna cartha docuit).

Lo Stato hobbesiano è una sorta di assemblato di individui: condensato di essenza umana, cultura e aspirazioni di ciascun popolo storicamente autodeterminatosi che però affida se stesso ad un re, poiché da solo si riconosce incapace di gestire le sue pulsioni distruttive della specie. Nel suo Leviatano Hobbes utilizza le leggi naturali per dimostrare che il potere statale, per poter funzionare efficacemente, dev’essere illimitato, privo di vincoli, e indiviso. Ma l’Inghilterra è “per sua intima natura” poco propensa ad annullarsi nel King o nella Queen di turno, si sa. E così lo strano e pessimistico giusnaturalismo di Hobbes non può attecchire da quelle parti.

Delicato perciò il passaggio sempre in Inghilterra guardacaso, da Hobbes a John Locke: questi riesce a far slittare l’idea di un potere assoluto gestito da uno ad un’idea nuova: dato che lo stato di natura umano non è come per Hobbes quello dell’homo homini lupus bensì quello di una predisposizione alla giustizia e alla pace, va da sé che, per il principio di uguaglianza, tutti possono far osservare questa legge: nessuno infatti ha superiorità e giurisdizione assoluta o arbitraria sopra un altro. Insomma occorre trovare una forma di Stato non assoluto ma garante del buono che c’è negli individui. Lo stato liberale è così concepito.

Proseguiamo: per quanto le ideologie, allogene o allotrope abbiano voluto contrastare questa idea assolutistico-liberale di uno stato inglese datato 1600-1700, non hanno mai potuto non farci i conti. Ideologicamente dovendo costruire una legittimità di potere a qualsiasi stato si fosse comunque voluto configurare come “altro” dai singoli cittadini: uno stato dittatoriale, democratico, socialista, ecc. ecc. tutte e dico tutte le forme di stato hanno dovuto concepire una qualche teoria che funzionasse per poter convincere i singoli ad affidarsi a questa sacrale entità estranea ed altra rispetto ad esso. L’idea della comunità, assai neutra e priva di inneschi impositivi ha però sempre dovuto lasciare il passo a un di più, a un qualcosa che fosse più della semplice somma dei diritti e dei doveri, delle libertà e volontà dei singoli.

Dunque lo Stato liberale (poi “democratico”), per quanto abbastanza libero, non può trascendere le realtà dei singoli individui e, per estensione, della comunità di individui. Quanto quest’ultima possa e debba accettare dallo Stato per il suo bene (cioè per salvare se stessa e gli individui) è materia che attiene al Diritto: cioè a quella serie scritta e organicamente articolata di leggi che quella comunità riconosce di volere per regolamentarsi al meglio possibile.

Dunque il Diritto, con i suoi assiomi costituzionali propedeuticamente fondanti, si configura come un miscuglio di etica e regole: ogni Stato costruisce le seconde in conseguenza a quanto la comunità dovrebbe riconoscere come emanazione formale della sua etica. Ogni corpus juris è la configurazione scritta, l’alter inoppugnabile, della propria identità esistenziale, culturale, storica ed etica. Lasciando perdere per il momento la questione dei bilanciatori del potere, che dovrebbero garantire dal predominio dell’un ramo del potere da ciascun altro (legislativo, esecutivo, giudiziario, informazione) soffermiamoci un istante sui rischi che corre lo Stato e, con esso, la comunità che esso rappresenta e dovrebbe garantire e salvaguardare dall’estinzione quantomeno. Il rischio di uno Stato è la sua estinzione. Mentre la comunità potrebbe sopravvivergli come soggetto reale ed esistente. Dunque lo Stato non può permettersi e permettere la sua morte.

Il problema è la serie di escamotage che lo Stato, quasi che a un certo punto e ineluttabilmente prenda a vivere di vita propria, come il monolite nero in Odissea nello Spazio, un banno che tutto controlla e gestisce, tutto “ri-solve”, dissolve in se stesso.

Molto più rischioso, in sostanza, per l’autonomia degli individui, lo stato assoluto di Hobbes di quello liberale criptoassoluto di Locke, poiché il secondo mistifica i limiti altrimenti ben evidenti nel primo, di rischio di esondazione dei propri argini.

Insomma, il virus letale che attacca e ferisce a morte la comunità degli uomini liberi, si chiama “mistificazione”. Per il suo tramite lo Stato ha scoperto che può eternarsi e garantirsi dagli attacchi della comunità ai suoi danni. E chi più d’ogni altro ha accesso alla gestione della mistificazione è esattamente lo stato. Se il meccanismo dei bilanciamenti del potere si inceppa e tutti prendono ad andare nella direzione dell’autoconservazione e non più della conservazione della comunità ecco che la vittima principale diventa proprio la comunità. Lo stato tende a salvaguardare se stesso ad ogni costo, anche a quello della morte di parte o quasi tutta la comunità che lo fonda.

Il Covid che cosa rappresenta in questo quadro apocalittico? Niente di più e niente di meno che il miglior strumento possibile, ad oggi, di autoconservazione dello Stato in se stesso, anche a danno della comunità e dei singoli. Il Covid, un virus. Non una bomba nucleare, non una minaccia visibile e gestibile politicamente (in teoria) con contrattazioni fra stati. No, un mostro invisibile ed egualmente ingestibile da tutti gli Stati…. A meno che essi non decidano insieme come gestirlo, né più né meno di una guerra (senza bombe di metallo).

Dunque chissà quale Stato e chissà per quale sua “ragione” interna o internazionale lancia il virus; inizia il balletto del terrore: la minaccia dichiarata di letalità fa sì che lo Stato possa, anzi “debba” chiedere ai cittadini di auto-tombarsi per non morire, data anche la palesata fallimentare gestione sanitaria dell’evento virale: la pandemia diventa materia duttile in mano alle autorità di ogni tipo: legislativa (a suon di decreti presidenziali), sanitaria (oms), comunità scientifica (solo quelli riconosciuti dalla Stato hanno dignità di parola), comunicazione main stream, economica, finanziaria e infine, green card e green pass.

Social Media Effects on the people – by KTM

Laddove uno Stato non può (non ancora ma a breve lo farà) trascurare i principi costituzionali delle libertà e dei diritti del singolo, lo soffoca di doveri statali. Contemporaneamente esercita la persuasione in ogni modo poiché (come Goebbels ben sapeva) nulla è più efficace e potente della convinzione della moltitudine che qualcosa sia “realmente” nel modo che lo Stato vuole che sia. Ledendo e tagliando pezzo a pezzo la capacità di esercizio critico del pensiero (a scuola è da anni che si sta procedendo alla distruzione degli strumenti logico sintattici del pensiero nelle giovani generazioni) l’autodeterminazione, è possibile costruire un esercito di vittime volontarie con alta capacità virale: i social sono il più elementare strumento di diffusione di una nuova “conoscenza popolare” di quel che lo Stato vuole che riconosca come vero. Lo Stato dà dei piccoli input, ormai, occasionalmente, e la cassa abnorme di risonanza fa il resto: esso non ha più nemmeno bisogno di pagare addetti all’informazione, o virologi, basta dar in pasto ai social un solo dato, un filmato, una flebo fatta di un costante bombardamento di dati senza altro senso che quello voluto dallo stato… cifre, statistiche, morti, varianti virali, accorgimenti, ecc. ecc…. e la comunità come un enorme immenso zombie farà il resto.

Al termine di questo ragionamento sono a chiedere, umilmente, al lettore che ha avuto la pazienza di leggere fin qui: che fine ha fatto la consapevolezza “sindacale” del “insieme possiamo opporci a una legge sbagliata del padrone?Che fine ha fatto la dignità di quella sinistra che sapeva di poter lottare contro le iniquità, la volontà del potere, le imposizioni irragionevoli e autoritarie? Perché, mi chiedo e vi chiedo, a nessuno viene in mente oggi di ribellarsi, di capire che se 90 su 100 si rifiutano di vaccinarsi al dictat statal-padronale di minaccia di licenziamento ebbene sarà lo stato padrone a dover capitolare e a raccontarci la verità?

La risposta è semplice: come i milioni di tedeschi convinti dai cinegiornali nazisti che gli ebrei erano i topi che diffondevano la peste, anche noi siamo ridotti a credere che i non vaccinati ci uccideranno. Tutto questo mentre su Johnson & Johnson ormai pende la condanna di aver indotto “danni neurologici anche permanenti” sui suoi vaccinati… e chissà che altro ci racconteranno nelle loro lottizzazioni farmaceutiche, a breve. Tutto questo mentre da più parti insigni virologi antisistema sostengono con i loro studi che le varianti sono create e innescate dalla reazione organica dei vaccinati. Noi, vittime volontarie, cerebrolabili e permeabili, convinte di salvare il mondo con le nostre singole morti, siamo ormai completamente dimentichi di dover lottare ogni giorno per salvarci dal Leviatano, per sottrargli il cibo di cui si alimenta, per gestire noi il suo debordante potere “etico” che schiaccia la nostra etica. Che ognuno risponda ora da solo alla domanda del titolo di questo articolo-riflessione: stato etico o etica dello stato?

Guai a quello Stato che induce al suicidio di massa il proprio popolo.

Ariel