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Se anche un dentifricio cambia il clima… intervista al ricercatore Marco Verdecchia Se anche un dentifricio cambia il clima… intervista al ricercatore Marco Verdecchia
Una ricerca condotta da un team di ricercatori australiani ipotizza l’estinzione della razza umana nel 2050 a causa del riscaldamento globale. Oltre alla scienza,... Se anche un dentifricio cambia il clima… intervista al ricercatore Marco Verdecchia

Una ricerca condotta da un team di ricercatori australiani ipotizza l’estinzione della razza umana nel 2050 a causa del riscaldamento globale. Oltre alla scienza, le persone più anziane spesso dicono che non ricordano estati così afose e inverni così miti. Marco Verdecchia è un ricercatore del Dipartimento di Scienze Chimiche e Fisiche dell’Università degli studi dell’Aquila. Si occupa da moltissimi anni di prevenzione degli eventi atmosferici violenti, per intenderci come quello che si è verificato da poco lungo la costa abruzzese: grandine grande come arance che ha prodotto tantissimi danni, non solo ad agricoltura e  veicoli, ma anche a edifici. Per Ovidio News ha accettato di rispondere ad alcune domande sul tema che più sta a cuore in questi ultimi anni all’intera umanità: i cambiamenti climatici.

Lei studia da anni un metodo per prevenire i danni da eventi atmosferici, riesce a spiegarci in cosa consiste il suo studio?

Non so se ci riesco nelle poche parole di questa intervista, ma ci dobbiamo provare qui ed in altri contesti, altrimenti le metodologie e le applicazioni che sviluppiamo nei nostri laboratori sono del tutto inutili se i risultati non raggiungono gli utenti, ovvero le autorità di Protezione Civile, soprattutto, e poi i cittadini. Il nostro obiettivo è quello di creare dei modelli matematici che, utilizzando tutti i dati disponibili in un certo istante, facciano una previsione di quello che accade al suolo nelle prossime ore, in una certa regione o in una porzione di territorio. Quando parlo di “tutti i dati” intendo, ad esempio, le osservazioni che sono disponibili per le ore già trascorse e le previsioni meteorologiche per le prossime ore. I risultati di questi modelli sono abbastanza affidabili dal punto di vista del loro impiego in ambito di Protezione Civile, il vero nocciolo del problema sta in un aspetto di cui (quasi) nessuno parla e che potremmo così riassumere: come tradurre il complesso output dei nostri modelli in una informazione sintetica che sia immediatamente comprensibile ed utilizzabile dalle autorità preposte? Questo è l’aspetto critico su cui molti, modestamente anche noi, cercano di lavorare con molto impegno e creatività. La previsione non può essere “sintetizzata” troppo, perché si vanifica tutto lo sforzo teorico e matematico che si è fatto; d’altro canto non si può pensare che in una sala operativa si perdano due ore per capire la complessità del fenomeno che ci attende. Ci tengo a specificare una cosa: non è problema solo italiano o legato alle inefficienze del nostro paese, vere o presunte che esse siano. Si tratta di un passaggio critico e molto delicato che riguarda ogni paese.

La domanda è d’obbligo, perché si è verificato il violento temporale dei giorni scorsi?

I temporali violenti, per lo più di carattere “convettivo” sono abbastanza frequenti nei mesi estivi, non è un fenomeno straordinario. Si tratta, in genere, di eventi tanto violenti quanto localizzati. Nel caso specifico, tanto per riferirsi ad un esempio concreto, si sono avuti danni assai rilevanti a Pescara, ma l’evento non ha provocato significativi pericoli a cose o persone nei comuni limitrofi. So da testimonianze dirette che a Pineto, ad esempio, l’evento è stato vissuto semplicemente come un violento temporale. Se si riferisce al legame di questo evento con i cambiamenti climatici in atto, qui la risposta è assai più complessa e più sottile e provo rispondere in due modi, prima con una argomentazione da “Professore” (lo dico con autoironia), poi con un gioco che si può seguire più facilmente. La risposta accademica è che il Global Change influisce soprattutto sulla frequenza con cui i fenomeni estremi si presentano, e questo è vero sia se si guarda ai periodi di siccità, sia se si guarda alle precipitazioni intense. Ciò detto è assolutamente sbagliato, proprio dal punto di vista concettuale e teorico, addebitare un singolo evento ai cambiamenti climatici. Chi lo fa compie un’azione intellettualmente fraudolenta, così come è altrettanto fraudolento prendere spunto da questa errata interpretazione per negare che esistano dei cambiamenti nel clima. Proviamo a spiegare lo stesso concetto con un piccolo gioco di probabilità. Supponiamo che io e lei lanciamo un dado, con le facce numerate da uno e sei e scommettiamo su quale numero viene fuori dopo ogni lancio. Facciamo finta che abbiamo un numero preferito e questo numero è il 5. Ci aspettiamo, ovviamente, che il numero 5, esca mediamente una volta ogni 6 lanci. Ora, supponiamo di truccare il dado (quindi introdurre la perturbazione sul clima) e scrivere il 5 su 2 delle 6 facce del dado. Con il dado truccato, quindi a seguito del Global Change, avremo che il “nostro numero preferito” esce 2 volte ogni 6 lanci, quindi una volta su 3. E fin qui è dovrebbe essere tutto chiaro e condivisibile. Adesso, se otteniamo il 5 dopo un singolo lancio, possiamo chiederci: ma è uscito il 5 perché comunque sarebbe uscito anche con il dado non truccato oppure è uscito perché abbiamo truccato l’oggetto con cui giochiamo? Ecco, questa domanda equivale a chiedersi: ha grandinato a Pescara perché è aumentata la temperatura del pianeta oppure avrebbe grandinato anche con l’atmosfera di due secoli fa?

Cosa si può fare, in concreto, per prevenire i danni di questi fenomeni?

Questo è un compito multidisciplinare che spetta a molti specialisti di diversi settori, quindi parlo solo per quelle che sono le mie specifiche conoscenze. Se dovessi sintetizzare in una regola, la più importante potrebbe essere: “Non toccare in alcun modo la rete di fiumi e di torrenti così come la storia geologica ce l’ha consegnata”, il “non toccare” andrebbe preso alla lettera, non pretendere di costruire sui fiumi o nelle zone limitrofe. Pur consapevoli che questo errore è stato compiuto in molti territori, invece di perdere tempo ad accusarci l’un l’altro, possiamo intanto metterci d’accordo sul fatto che non lo dobbiamo fare più. Guardi, nella mia visione non serve neanche una legge, è il nostro approccio che deve mutare, non dobbiamo più farci venire in mente di cementificare un fiume e costruirci il centro commerciale nelle vicinanze per lamentarsi poi dei danni, alla prima catastrofe. Un’altra cosa più tecnicistica la posso dire: se abbiamo urbanizzato un territorio, dobbiamo tener conto che l’acqua di una violenta precipitazione va drenata artificialmente. E’ inutile scatenare dibattiti sul nulla, perché è qualcosa che possiamo calcolare, anche nel laboratorio a fianco a questa stanza siamo in grado di farlo con relativa facilità se qualcuno ce lo chiede. Se simuliamo la precipitazione caduta a Pescara lo scorso 10 luglio e possiamo stimare come doveva essere la rete di canali artificiali perché il parcheggio dell’ospedale non si allagasse, e quindi provvedere, con la gradualità che le risorse pubbliche consentono, ad adeguare la rete esistente.

In questi giorni la temperatura sta di nuovo aumentando, ci dobbiamo aspettare una replica?

Se mi chiede una previsione non sono in grado di dargliela, perché non mi occupo operativamente di previsioni meteo. Se le dessi una risposta sarebbe semplicemente qualcosa che ho letto su qualche sito specializzato e che ho furbamente “tradotto” con parole mie. Certamente, in termini generali è una situazione che può ripetersi, i mesi più caldi dell’estate sono fecondi di questi fenomeni violenti e localizzati. Visto che mi fa questa domanda posso solo raccomandare ai suoi lettori di stare molto attenti al sito web che visitano: va bene se al tastino “Chi siamo” trovate l’organigramma di Ente di Ricerca; molto meno bene se il titolo di meteorologo è “auto-assegnato”. Ed un trucco da anziano (ho una certa età): di solito l’enfasi grafica e gli effetti speciali con cui il sito web è realizzato è inversamente proporzionale alla qualità scientifica dei contenuti; in genere è così, ma neanche questa va presa come una regola universale.

Cosa dovrebbe fare, da subito, l’uomo per cercare di proteggere il pianeta in cui viviamo?

Certamente ci sono molti comportamenti da evitare e molte buone abitudini da prendere. Personalmente non credo servano ricercatori e scienziati per consigliare di non usare la plastica se si può evitare o utilizzare energia solo quando è necessario. Le dico questo come uomo di buon senso, forse più ispirato dai miei avi contadini che dai pur bravissimi Professori che ho avuto all’Università. Ho fatto negli ultimi tempi una mia personalissima, e magari stupida, statistica: quando mi reco da questo mio ufficio del Dipartimento di Fisica dell’Università dove lavoro, alla toilette che sta in fondo al corridoio, nel 50% circa dei casi trovo che la luce è rimasta accesa; quindi un giorno su due quella lampadina rimane inutilmente accesa tutta la notte o addirittura tutto il week-end. Eppure qui “circolano” solo persone che sono almeno diplomate, ed addirittura studiamo il clima e lo insegniamo agli studenti! Questa semplice osservazione, ma anche moltissime altre, mi fa pensare che i problemi del pianeta vengano ancora percepiti, almeno da una larga maggioranza, come l’ennesima diatriba su cui amano avvitarsi i movimenti politici. O, magari, molti continuano a pensare che, dietro certi contrasti su questi temi, ci siano chissà quali interessi nascosti che contrappongono la Russia, l’Europa, la Cina e gli Stati Uniti. Il problema dei cambiamenti climatici è, invece, una cosa che va presa molto seriamente, indipendentemente dalle nostre posizioni ideologiche ed i nostri specifici interessi; bisogna, secondo me, mutare all’unisono la percezione che abbiamo del problema. Provo a fare un esempio “leggero” ma, magari, efficace: se ci stanno antipatici Greta Thunberg ed i suoi fans, non è necessario cambiare idea; non dobbiamo, però, confondere un problema con chi se ne fa portatore. Ci sono molte cose che si potrebbero fare e che mi sorprende notare che non vengano neanche proposte, gliene dico una sola: perché non tassare la produzione dei rifiuti, anziché tassare in maniera indiscriminata il loro smaltimento. Ha mai pensato a quanti oggetti finiscono direttamente dalla busta della spesa alla pattumiera? Lei, quando porta a casa il dentifricio, cosa se ne fa della scatola dentro cui è contenuto il tubetto? Quella scatola l’abbiamo prodotta (consumando energia e materie prime), l’abbiamo trasportata (consumando energia), l’abbiamo pagata e poi la buttiamo direttamente nella spazzatura dovendo poi pagare qualcuno che la trasporterà di nuovo verso la discarica (consumando ancora energia); infine se lo scenario è quello peggiore bruciamo quella inutile scatolina producendo ancora anidride carbonica. Se si riesce tutti a riflettere su queste cose (ce ne sono ovviamente molte altre), io credo che una significativa inversione di tendenza possa essere anche una prospettiva verosimile. In questo voi giornalisti avete un compito enormemente importante. Quindi grazie di avermi intervistato, magari avrebbe potuto facilmente trovare qualcuno più bravo di me, ma ho fatto del mio meglio. Ancora grazie.

Siamo noi che ringraziamo chi dedica la propria vita alla ricerca e allo studio.

Samanta Di Persio