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L’aria di Milano e il nuovo virus L’aria di Milano e il nuovo virus
Gabriella Zevi Due anni fa, era l’estate 2018, a Milano, non respiravo più. Camminavo poco, per spostarmi cercavo un mezzo pubblico di superficie, altrimenti... L’aria di Milano e il nuovo virus

Gabriella Zevi

Due anni fa, era l’estate 2018, a Milano, non respiravo più.

Camminavo poco, per spostarmi cercavo un mezzo pubblico di superficie, altrimenti percorrevo strade secondarie, non i bei viali con negozi e tante macchine in coda, che ad ogni frenata e ripresa ripartivano con un colpo di acceleratore e un incremento del gas di scarico.

Aspettavo la pioggia che lavasse l’aria e nei giorni di sole sapevo e sentivo quei fumi diventare ancora più velenosi.

Potevo attraversare un parco, allora abitavo non lontano dal parco di Porta Venezia, ma senza trarre beneficio da quell’ossigeno che sicuramente le piante mi stavano offrendo: mi sembravano anche loro lì per soccombere.

Da anni le fotografie satellitari fotografavano la Pianura Padana ricoperta di quel bel color ruggine, cosi intenso come si presenta sul pianeta solo in Cina.

Quanti anni ho? Sono grande e, ho fumato in gioventù.

Avviene un guaio familiare e ho l’occasione per lasciare Milano alla ricerca di aria respirabile.

Mi succede di fermarmi a Palermo. Non ci sono raffinerie, come invece sulle coste siciliane, macchine si, ma c’è aria di mare e vento. Palermo è una città da conoscere. Posso camminare con piacere. Piove poco e non fa mai freddo.

Le strade della parte antica, quella che da secoli si stende intorno ai quattro canti, sono lastricate di pietra e lì il sole non può far evaporare il catrame dell’asfalto. Si respira.

Con il passare dei mesi sento i miei bronchi e i miei polmoni rifiorire. Posso camminare per 1 ora, 2 ore, 3 ore e salire le scale senza troppa fatica. Ne sono felice.

Posso camminare fino al Giardino Inglese, dagli alberi secolari, e fino a Piazza Marina con il suo Ficus monumentale, l’albero più grande d’Europa.

E il giorno in cui sento raccontare alla radio (RAI 1) che negli USA hanno analizzato le vie respiratorie di alcuni americani tornati da un viaggio in Cina, di alcune settimane, e le hanno trovate gravemente intossicate, sono colta da un brivido di piacere per l’aria che sto respirando, e da un pensiero che mi conforta: non andrò mai in Cina.

Ma il male del secolo scorso non mi vuole abbandonare e li, seduta sulla panchina, sotto gli alberi secolari leggo ogni giorno sui quotidiani, i drammi della Lombardia, della Pianura Padana, della città di Milano, delle discariche abusive e velenose delle città come Pavia, Lodi, Bergamo, Brescia; dei roghi di rifiuti tossici che nella bassa Pianura padana avvengono con una frequenza spaventosa, della nebbia definita velenosa che nei mesi di Novembre 2019 soffoca quei territori, del superamento dei livelli di smog nelle città padane, delle multe comminate dall’Unione Europea a causa dei livelli di inquinamento continuamente superati, dagli arresti per smaltimento illecito di rifiuti tossici… La nuova terra dei fuochi è la Lombardia scrivono i media. E i veleni si sono incrementati da quando la Cina non accoglie più i nostri rifiuti tossici, – per i quali pagavamo un prezzo non indifferente e che loro ci rivendevano avendo prodotto oggetti tossici, privi dell’autorizzazione europea, diventando cosi sempre più ricchi in denaro e veleni.-

Anche l’agricoltura e l’allevamento fanno la loro parte velenosa e la Lombardia e le città della pianura padana hanno record produttivi anche in questi ambiti. Boschi, terreni incolti, un po’ di vegetazione naturale? No bisogna che ogni metro quadro di terra produca. E per questo scopo pesticidi e fertilizzanti i cui veleni arrivano anche in città.

La dimensione dell’inquinamento del nord rispetto alla Terra dei fuochi campana, che negli anni 80 e 90 faceva indignare i milanesi, è di decine di volte maggiore. Possiamo paragonarlo a quello cinese, quando vedevamo nei telegiornali le immagini di un’atmosfera densa e scura nella quale camminavano persone con mascherine, ed era Pechino! O alla cappa di smog di Seul che nemmeno le piogge causate dallo Ioduro d’Argento riuscirono a scalfire.

Ma io camminavo per Palermo, avevo la certezza che non sarei mai andata in Cina, e la speranza che le richieste dei giovani del Friday for future avrebbero potuto migliorare le cose al Nord, dove prima o poi avrei dovuto tornare. E invece la Cina e le sue verità sono venute da me.

Perché qui? Che va tutto bene! si chiedeva il sig. Fontana, il leghista eletto presidente della Regione, nei primi giorni del contagio del virus cinese. E i Bergamaschi, i Bresciani, i Pavesi, i Lodigiani cosa avevano sempre pensato? come il loro presidente, che fosse tutto in regola. Almeno fino al 29 Febbraio 2020 quando, di ritorno dalla Sicilia trovo la Stazione Centrale di Milano deserta alle 11 del mattino, come la piazza antistante la Stazione, come tutta la città nelle settimane successive.

Al virus Covid-19 sono piaciute le gole, le trachee, i bronchi e i polmoni degli italiani del nord, di Pavia, Lodi, Bergamo, Brescia, Piacenza, Veneto, Emilia.

Al virus piacciono gli eroi e al Nord se ne trovano in abbondanza.

A Milano nei giorni di Marzo, prima della chiusura totale, una di loro pedala in coda alle macchine, con la mano destra tiene il manubrio e con la sinistra il cellulare nel quale sta scaricando una certa rabbia e va avanti così. Il virus si è già accorto di lei. Ha la bocca come quella della balena, spalancata; respira con la bocca e non filtra dal naso le polveri sottili che portano con se virus e batteri e funghi, microorganismi e molecole derivate dal petrolio, che entrano direttamente nel suo apparato respiratorio. E magari fuma! Quanto durerà la sua conversazione? Avrà un contratto molto favorevole così la usa gola diventerà sempre più secca. Via la saliva che ha la funzione di protezione. Le cellule cigliate del tessuto epiteliale della trachea e dei bronchi, composto appunto da cellule che hanno il compito di respingere gli invasori, tra le quali vi sono ghiandole che producono un film di 4,7 micron con funzione protettiva, saranno presto fuori gioco e ora non c’è il virus dell’influenza normale che si combatte con farmaci noti, c’è il nuovo sconosciuto virus che, una volta entrato si dirigerà verso i polmoni con l’intento di impedire agli alveoli polmonari, una miriade di piccolissime cavità, di ricevere l’ossigeno. Per non morire soffocati bisogna essere intubati.

Inspirare ed espirare attraverso il naso che filtra l’aria, insegnavano a scuola nell’ora di “ginnastica”; chi ha praticato yoga lo sa bene, anche il Dott. K. Buteyko, ucraino, aveva capito e spiegato come la respirazione con la bocca, – obbligata per chi parla al cellulare camminando o pedalando o facendo contemporaneamente altre attività fisiche, – è la causa di numerose gravi patologie.

Sono nozioni elementari di fisiologia che chi pratica sport conosce. Ma bisognerebbe fare ogni cosa a suo tempo e oggi non puoi permettertelo. Anche i cinesi erano dei grandi consumatori di telefono portatile, anzi i più grandi dell’Oriente, seguiti dagli indiani. In Europa il record è degli italiani: un’altra caratteristica comune, sarà solo un caso?

Ma i cinesi, a differenza degli italiani hanno un antico metodo che li aiuta a liberarsi delle tossine di cui si caricano, anche per via di una alimentazione particolarmente pericolosa e di un alto grado di inquinamento dell’aria: lo sputare il catarro che raccolgono da gola e naso ripulendo cosi il tessuto epiteliale. Anche a Wuan, all’inizio dell’epidemia, scriveva in internet un italiano che vive lì, i cinesi continuavano a sputare, ma per il nuovo virus creato in laboratorio da una potenza mondiale, le difese millenarie non sono state sufficienti. Ma certo non smetteranno di praticare quell’azione igienica.

Anche in Europa è stato proposto da una luminare della medicina, la Dott.ssa Catherine Kousmine (1904-1992) che iniziò a curare gravi patologie con l’alimentazione, lo sciacquo della bocca con l’olio di semi di Girasole biologico che alla fine va sputato con quelle tossine che va raccogliendo da gola, naso e altre cavità. Una pratica igienica propria anche della medicina Ayurvedica che aiuta a disintossicare l’organismo e a mantenere sano il tessuto delle vie respiratorie. Lo sciacquo deve durare un certo tempo, fino a che non si percepisce il bisogno di sputare l’olio. Il metodo viene chiamato anche “oil pulling”. Io pratico lo sciacquo da 10 anni e non ricordo raffreddori o problemi respiratori.

E anche i vecchi contadini, nei tempi in cui il dottore si teneva lontano, donne e uomini, masticavano tabacco e poi lo sputavano.

La realtà che stiamo vivendo ci dice che se non vogliamo diventare robot microchippati e monitorati dal 5G, dobbiamo recuperare conoscenze e pratiche passate.