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La caduta: dalla Leopolda a Pontida La caduta: dalla Leopolda a Pontida
Pontida. Sacro e profano, utile e dilettevole, rosari e anticristi; il palco sulla bergamasca osserva la pianura gremita di entusiasti affezionati di “ciò che... La caduta: dalla Leopolda a Pontida

Pontida. Sacro e profano, utile e dilettevole, rosari e anticristi; il palco sulla bergamasca osserva la pianura gremita di entusiasti affezionati di “ciò che è e di ciò che sarà” la Lega, perché “quel che fu” chiude definitivamente i battenti. Bossi è ormai un ricordo, persino al senato non viene più, non onorando l’ultima marchetta politica gentilmente offerta dai suoi ex discepoli. Ditelo all’espulso (dal Carroccio) Tosi da Verona che “non devi nemmeno chiederglielo” e ti dice in due parole che cosa è andato storto: “Salvini aveva due problemi: evitare di fare la prossima manovra economica lacrime e sangue, da una parte, e incassare in termini elettorali gli altissimi consensi che gli davano i sondaggi, dall’altra“.

Flavio Tosi è un leghista della prima ora, è sindaco di Verona dal 2007, poi riconfermato nel 2012 fino ad essere, oltre che Presidente della Lega Veneta, eletto europarlamentare nel 2014 e, infine, cacciato dal partito l’anno dopo in seguito a contrasti con Salvini. Niente di più utile che ascoltare “motivi” dall’interno pur essendo chiara la debacle di Fra’ Moito che ad agosto aveva iniziato la marcia su Roma ma non era arrivato neanche sotto il Po (l’inizio di Terronia per i più estremisti territoriali).

E pensare che aveva cominciato bene,” continua Tosi, “passando da Roma “ladrona” ad Europa “strozzina”, trasformando il partito da padano a nazionale”. Segno che il caldo deve essere stato forte pure al sud. Ma l’Italia è così, di “loro furono siccome immobili” ce ne sono stati tanti e il bel paese se ne è sempre andato nel futuro, abbandonando malamente i propri eccitati leader, fra un caffè, una bestemmia e un rutto al Bar dello Sport. Così, più il tempo passa e più la cultura politica degrada verso livelli di non conoscenza assoluta, perché il disinteresse è figlio della disinformazione e la gente è stanca di sottomettersi all’ipocrisia contemporanea. E quando ha voglia di far baldoria il popolo ti innalza pure se non capisce, ma l’entusiasmo dura il tempo di una birra serale perché ecco che al mattino già ti arriva una sberla.

Un po’ come accadde a Renzi che, arzillo dopo la bevuta e gli applausi, se ne andò baldanzoso nella notte senza mai più ritrovare il giorno. E deve avere sbagliato qualche calcolo anche lui nell’agosto infernale poiché Zingaretti, abaco alla mano, ha prima fatto dietrofront con Salvini, dopo l’intesa platonica infranta che prevedeva di ritornare con lui assolutamente al voto, per poi isolarlo di fatto anche dai ruoli ministeriali che contano. Eh si, perché mentre Salvini voleva “solo” impossessarsi del Centrodestra, Zingaretti voleva silurare proprio Renzi, titolare di molti voti al Parlamento ma ormai privo di partito.

I silurati, dunque, sono due. Salvini ridimensionato sopra il Po, giacché anche il “centro” non ha molto gradito alcune sue prese di posizione approssimate ed imprecise; e Renzi prigioniero del Senato, costretto ad essere l’architetto di una strategia di partito che non è più il suo.

E i movimentisti democristiani di centro, sinistra e destra hanno vinto di nuovo. Il trucco è di non avere bandiere. Non avere nome, patria, passato. La strategia è di annullare la storia per non dovere più niente a nessuno. Cosicché i padri fondatori dell’ignoranza possano finalmente pescare in un torrente veloce, che si porti via i più fastidiosi, che si porti via, soprattutto, quelli che si illudono ancora di poter cambiare qualcosa.

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