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Hong Kong: cresce la rivolta e la repressione si fa durissima Hong Kong: cresce la rivolta e la repressione si fa durissima
1 settembre – Cresce la tensione nell’ex colonia britannica. Da una storia “diversa” ai diritti non riconosciuti: così Honk Kong in rivolta si oppone... Hong Kong: cresce la rivolta e la repressione si fa durissima

1 settembre – Cresce la tensione nell’ex colonia britannica. Da una storia “diversa” ai diritti non riconosciuti: così Honk Kong in rivolta si oppone al regime cinese. Il quartier generale del governo è stato preso d’assalto e i disordini iniziati ormai da alcuni mesi non accennano a diminuire; anzi sono aumentati nel corso delle settimane e a Pechino la temperatura si è alzata, passando alle maniere forti per tentare di sedare quella che è ormai una vera e propria rivolta popolare. Le contromisure della Cina in città hanno fatto registrare violenze e brutalità da parte della polizia contro i manifestanti.

Disordini e scontri con la polizia ad Hong Kong – Fonte: Reuters

La protesta si allarga e sta marciando, in queste ore, senza sosta: dopo l’assalto alla sede governativa, attivisti e manifestanti hanno preso di mira l’aeroporto internazionale della città, rimasto chiuso per due giorni e ora presidiato dalla polizia. Da questa mattina una folla crescente di persone ha iniziato ad arrivare allo scalo, raggruppandosi soprattutto alla stazione dove arrivano i bus dalla città, con obiettivo di sottoporlo a un forte stress. La situazione dello scalo aereo, punto nevralgico anche economico di Hong Kong, è perciò altamente critica.

I motivi della rivolta affondano nel peculiare status di Hong Kong, città ancora border line rispetto all’establishment cinese, in virtù del suo essere stata una colonia britannica, dalla fine della guerra dell’oppio e per 150 anni, fino cioè al 1997, anno in cui tornò sotto il dominio della Cina. A tutt’oggi è un territorio ad amministrazione speciale. Ha una sua moneta, un sistema politico e una sua identità culturale, ma soprattutto un sistema giuridico basato sulla Common Law che tutela i diritti civili dei suoi abitanti certamente molto più che in continente: il diritto di protestare, stampa libera e libertà di parola sono principi dell’ “alto grado di autonomia” pattuita al momento del passaggio alla Cina ed assicurata dalla Basic Law fino al 2047 e nel nome dei quali i quasi 8 milioni di hongkonghesi  non intendono sottostare alle restrizioni della nuova madrepatria.

Un milione di cittadini di Hong Kong scesi in strada a manifestare. Fonte Reuters

La “pressione” del sistema monolitico della Cina ha messo in atto misure che agli occhi di Hong Kong non sono rispettose dei patti e delle libertà dei suoi cittadini: già nel 2014 nella rivolta degli ombrelli essi manifestarono contro la riforma del sistema elettorale che mirava ad imporre l’ingerenza del PCC (Partito Comunista Cinese) con una preselezione a sua cura dei candidati. La riforma, in seguito alla rivolta non fu poi adottata. Ma ecco che la Cina ci riprova e mette in atto quello che dall’ex colonia britannica viene percepito come un vero e proprio attacco allo stato di diritto al quale non si vuole in alcun modo rinunciare. I manifestanti hanno avanzato cinque richieste principali: ritirare definitivamente il disegno di legge che prevede l’estradizione verso la Cina e che rappresenterebbe un primo passo verso l’ingerenza cinese nel sistema giuridico di Hong Kong. Poi le dimissioni del capo dell’esecutivo di Hong Kong, Carrie Lam. E ancora: un’inchiesta sulla brutalità della polizia durante le proteste e il rilascio dei manifestanti che sono stati arrestati. Infine, più in generale maggiori libertà democratiche.

Polizia a presidio dell’aeroporto di Hong Kong. Fonte: Reuters

Da fonte Sky si registra in queste ore un aumento della tensione e degli scontri in una città con barricate in strada e transenne: “Con il passare delle settimane i funzionari di Hong Kong e di Pechino sono diventati sempre più duri nei confronti delle proteste. Il capo dell’ufficio di gabinetto cinese, responsabile per gli affari di Hong Kong, Zhang Xiaoming, ha definito quanto sta succedendo a Hong Kong “la peggiore crisi dal 1997”, cioè dal ritorno della città sotto il governo cinese. Yang Guang, portavoce dell’ufficio affari di Hong Kong e Macao, il principale organo cinese incaricato dei rapporti con la città, ha affermato che le proteste mostrano “segnali di terrorismo” etichettandole come la vera minaccia per lo stato di diritto. “I manifestanti di Hong Kong hanno ripetutamente attaccato gli agenti di polizia con strumenti estremamente pericolosi”, ha detto. “Hanno già commesso crimini violenti e a mostrato atteggiamenti terroristici. Si tratta di una grave violazione dello stato di diritto e dell’ordine sociale, che sta mettendo in pericolo la vita e la sicurezza dei cittadini di Hong Kong”. Dall’altra parte manifestanti e cittadini denunciano le violenze delle forze dell’ordine, gli arresti e il divieto da parte delle stesse di scendere in piazza in alcune occasioni”.

Quello che è certo, nel rimpallo delle responsabilità, è che i disordini non si placano e che l’intervento della polizia contro i manifestanti è durissimo, con paventata violazione del rispetto dei diritti umani.

Ariel