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Franco Battiato                         e “Il libro dei Morti” Franco Battiato                         e “Il libro dei Morti”
Stefano Pio* (2) Stefano Pio | Facebook Franco, durante il mio (e suo) periodo di vita Milanese, dimenticava spesso, nel corso delle sue quotidiane... Franco Battiato                         e “Il libro dei Morti”

Stefano Pio* (2) Stefano Pio | Facebook

Franco, durante il mio (e suo) periodo di vita Milanese, dimenticava spesso, nel corso delle sue quotidiane venute in casa Pio, i libri che leggeva. Sapendo solo in seguito quanto tenesse ai suoi libri, mi sono talvolta chiesto fra me e me, a posteriori, se le sue “dimenticanze” di quel periodo fossero volute, o invece fossero il frutto di semplice casualità, anche se, a mio avviso, nulla accade per caso.

Animato dai suoi stessi interessi culturali, me ne impossessavo avidamente dedicandomi alla loro lettura nelle ore centrali della giornata , con forte disapprovazione dei miei genitori che invece mi volevano più impegnato negli studi di giurisprudenza che poco mi interessavano : l’unico esame che mi interessò fu Filosofia del Diritto perché il professore di corso mi aveva incaricato di uno studio sullo sciamanesimo e le sue “regole estatiche” (dunque riconducibili in senso lato a norme di diritto anche se di un altro mondo…). Uno dei libri di Franco che trovai una volta sul mio letto fu il “Re del Mondo” di René Guénon, un tascabile azzurrino della collana Adelphi che non mi colpì particolarmente, mentre invece a Franco si, tanto è vero che insieme al Pio (senior) pubblicò da lì a poco la canzone con lo stesso titolo che mi sembra sia proprio riportata all’interno dell’album “il Cinghiale Bianco”. Il 1978 fu per me un anno magico, ventenne intrapresi il mio primo Viaggio per l’ India, viaggiai sui tetti dei treni alla maniera indiana, arrivai in Ladakh , detto il Piccolo Tibet, regno proibito (penso ora sia rimasto solo il piccolo regno proibito del Mustang in Nepal) che solo l’anno prima aveva aperto le sue porte al turista occidentale, dove ancora le fasi della giornata erano scandite dal lungo suono delle trombe tibetane e dove la visione di un europeo suscitava meraviglia e talvolta paura (qualcuno fra i vecchi ancora identificava i bianchi come spiriti cattivi, e ripensandoci, non avevano tutti i torti) . Al ritorno viaggiai per il Kashmir dove Franco mi aveva raccontato che in un piccolo cimitero di Srinagar era venerata la tomba di Yuz Asaf un maestro e santo mistico che molti islamici avevano identificato come Gesù Cristo. Nel 1898 il visionario Mirza Ghulum Ahmad ebbe la rivelazione che Gesù Cristo sarebbe arrivato in India con le carovane della via della seta, e qui arrivato avrebbe ricevuto un’iniziazione ai misteri e riti esoterici tantrici: qui sarebbe anche ritornato, sopravvissuto alla crocefissione, per morire in tarda età. La tomba ha guadagnato popolarità come “la tomba di Gesù” anche sulla base di un racconto del poeta sufi Khwaja Muhammad Azam Didamari (1747) in cui racconta che il santo Yuzasaf ivi sepolto era un profeta e principe straniero venuto dall’ “Occidente” (per loro).Al ritorno dall’India, non avendo soldi ( avevo 20 anni e quando arrivai a casa a Milano i miei non mi riconobbero da quanto ero dimagrito per la fame) portai in regalo delle semplici cartoline mitologiche raffiguranti il pantheon delle divinità Induiste. I miei amici scelsero prima le più belle ed a Franco restò in regalo l’ultima cartolina, quella che tutti scartavano e che rappresentava il terzo Avatara di Vishnu, Varaha, rappresentato sotto forma di Cinghiale Bianco…..Franco “dimenticò” pure a casa Pio i libri del corso serale di arabo a cui si era iscritto presso l’Università degli Studi di Milano: frequentò questo corso per un anno, il tempo sufficiente per imparare le regole fondamentali ortografiche dell’arabo e capire qualche cosa della lingua parlata, certo non per parlare correntemente arabo come alcuni oggi sostengono. A mia volta provai ad affrontare l’arabo con questi libri, ma mi fermai dopo tre mesi.

Un altro libro che “arrivò” nelle mie mani da Franco e che vorrei ricordare per le circostanze interessanti ad esso riferibili è: Her-Bak “Cecio” un libro che narra la storia di Cecio, un ragazzino dell’antico Egitto che viene iniziato ai misteri della casta sacerdotale per diventare poi, in età adulta, il mistico sacerdote Her-Bak, depositario a sua volta dell’antica cultura esoterica così ricevuta. Questo libro ebbe un forte impatto su Franco che iniziò ad affrontare di conseguenza lo studio della complessa cultura antica Egizia. Per quel che ne so, questo fu il suo primo approccio ad un cultura esoterica extraeuropea.In quegli anni, reduce del mio viaggio in Ladakh, proposi a Franco la lettura del Bardo Thodol “il libro Tibetano dei morti” che avevo comperato, ma Franco lo ignorò, era più interessato all’antico Egitto ed a quell’insieme di formule e concetti che fanno capo al “Libro dei morti” Egizio, che rimandava agli antichissimi “Testi delle Piramidi” ed ai “Testi dei Sarcofagi”. Le formule magico-religiose e la complessa cosmologia simbolica in essi contenuta servivano al defunto come protezione ed aiuto per il suo viaggio post-mortem, irto di insidie e difficoltà, verso l’immortalità, attraversando quelli che credo nell’ambito della successiva cultura buddista e tibetana si possano definire “stati intermedi” dell’anima post-mortem. La psicostasia o “pesatura del cuore” era la cerimonia a cui veniva sottoposto il defunto prima di poter accedere all’aldilà. Il Dio Anubi pone su un piatto di una grande bilancia il cuore del defunto (sede dell’anima per gli Egizi), mentre sull’altro piatto si trova la “piuma” che simbolizza la verità e la giustizia. Il Dio della saggezza, Thot, certifica la pesatura: se il cuore, depositario di tutte le azioni buone o malvagie compiute durante la vita, bilancerà la piuma, allora il defunto sarà “giustificato” e verrà ammesso nel regno dei morti. In caso contrario, il cuore verrà dato in pasto ad Ammit, “colei che ingoia il defunto”, rappresentata da un mostro composito ai piedi della bilancia, che somma in sé tre animali allora presenti nell’ Egitto più verdeggiante ed “africano” rispetto ad ora: il coccodrillo, il leone e l’ippopotamo. Tutta questa cosmogonia , o meglio teogonia, veniva codificata nei papiri di 4500 anni fa ! Da tutto ciò Franco prese spunto per il suo disco “l’Egitto prima delle Sabbie” e fu questo anche il motivo per cui approfittò, per l’uscita del disco Patriots , di fare un video promozionale girato proprio in Egitto ed apparso nella trasmissione Mister Fantasy. Da tale viaggio mio padre tornò, direi, poco felice: il caldo e la polvere che dovette respirare nei percorsi poco turistici in cui i due si avventurarono, fu inizialmente per lui fonte di un disagio tale da prevalere sull’atmosfera esotica e le meraviglie dei luoghi: soltanto con il passare degli anni , stemperati i ricordi delle difficoltà dallo scorrere del tempo , egli cominciò ad apprezzare le cose belle che aveva visto nel corso di quel viaggio. Per lungo tempo fu poi preso in giro: molte delle immagini del video per Mr Fantasy non poterono essere utilizzate e furono tagliate perchè il Pio aveva sempre sul viso, davanti al naso, il fazzoletto per proteggersi dagli odori e dalla polvere….Tornando a Franco, solo successivamente egli affrontò il testo tibetano del Bardo Thodol, narrando nel suo film “il Bardo” la concezione tibetana degli accadimenti post-mortem, affrontando con l’occasione un viaggio a Khatmandu per confrontarsi con personalità spirituali depositarie di questa conoscenza.

Stefano Pio è nato a Milano dove il padre Giusto lavorava nell’orchestra della Rai. Ma la città di Stefano è Venezia ed è qui che decide di vivere, a San Giacomo dell’Orio. Ha seguito le orme del padre, famoso violinista, compositore e direttore d’orchestra.

  • Stefano è maestro e violinista alla Fenice. Ma la passione per la musica e per lo strumento che suona non si è fermata allo studio della tecnica o delle composizioni. Stefano è andato alla ricerca delle radici di questo strumento ad arco. Per dieci anni ha studiato documenti all’Archivio di Stato, ha aperto plichi di carte, sfogliato testi che solo la polvere, fino ad allora, aveva visto. Una fatica che poi ha tradotto in tre preziosi volumi dove si racconta la storia della liuteria veneziana, dalla comparsa dei primi strumenti ad arco, le “lire”, alla storia dei liutai di fine 1800. Libri che hanno acceso la fantasia di scrittori che grazie a questi testi e a Stefano hanno realizzato romanzi ambientati tra calli e laboratori. Ma hanno consentito, anche, a famosi violoncellisti di suonare Bach nella chiesa dove è sepolta la famiglia del liutaio che ha realizzato il loro prezioso strumento.