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Discriminazione razziale e identità linguistico-culturale: il bambino napoletano come caso tipico Discriminazione razziale e identità linguistico-culturale: il bambino napoletano come caso tipico
Massimiliano Verde “Le lingue vengono oggi uccise a un ritmo molto più veloce che mai nella storia umana, e relativamente molto più veloce della... Discriminazione razziale e identità linguistico-culturale: il bambino napoletano come caso tipico

Massimiliano Verde

ACCADEMIA NAPOLETANA AT ESTIA TV

“Le lingue vengono oggi uccise a un ritmo molto più veloce che mai nella storia umana, e relativamente molto più veloce della biodiversità. Di conseguenza, la diversità linguistica sta scomparendo”.

La Lingua, in quanto espressione, libera, autentica, diretta di un essere umano è una forma culturale, antropologica e fisica che consente la possibilità di riconoscere se stessi, di identificarsi, di comprendere se stessi e di comprendere i propri simili e la propria comunità e consentendo di identificarsi con una realtà territoriale e culturale.

Infatti, l’identità culturale è uno dei più importanti bisogni psicologici immateriali degli esseri umani e la lingua è generalmente l’indice più chiaro, più resistente e coeso di una comunità, di un’identità territoriale e culturale all’interno e all’esterno di un territorio.

La lingua è, infatti, la capacità umana di esprimere con unità e diversità, pensieri, sapienza,tradizioni e gesti- veicolandoli e trasmettendoli di generazione in generazione: la lingua è una fonte di espressione – patrimonio culturale di un popolo o di una comunità

In realtà, non può esserci una comunità, un’identità culturale, senza una lingua, un idioma che la esprima.

Il diritto di parola e alla lingua è un diritto insopprimibile, come ci ricorda la Convenzione per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali (Los Angeles 1948): il diritto alla libera espressione di un essere umano e la sua soddisfazione non è negoziabile ed è un obbligo per tutti: uomini, donne, famiglie, scuole e gli stessi Stati.

In effetti, l’identità culturale è uno dei bisogni psicologici più immateriali dagli esseri umani importanti e il linguaggio è generalmente l’indice più chiaro,resistente e coesa di una comunità, di un’identità territoriale e culturale all’interno e fuori da un territorio.

Le lingue vengono oggi uccise a un ritmo molto più veloce che mai nella storia umana, e relativamente molto più veloce della biodiversità. Di conseguenza, la diversità linguistica sta scomparendo.

Scompare quindi la capacità umana di esprimere con unità e diversità, pensieri, saggezza, tradizioni e gesti: trasmetterli

di generazione in generazione: la lingua, viene prosciugata come fonte del patrimonio espressivo-culturale dell’umanità.

Un caso di scuola drammatico è quello dei bambini di lingua materna napoletana. In Italia, il Napoletano non è riconosciuto come lingua o come eredità culturale della nazione, da proteggere. Al contrario, è rappresentato dai mass media in una forma criminogena, folcloristica, degradata. Con effetti disastrosi in generale per i bambini napoletani e campani come appresso vedremo.

Infatti, il sistema educativo nazionale non considera la possibilità di inserire nei programmi scolastici italiani il Napoletano. Al contrario, un progetto sperimentale, già all’attenzione internazionale, è quello dell’Accademia Napoletana per l’IC.72° Palasciano, istituto scolastico comprensivo di Pianura (Napoli), nell’ambito del Fondo Sociale Europeo: “Napoli, Lingua e Cultura” progetto diretto e sviluppato dal sottoscritto in due moduli formativi.

In Italia,il Napoletano (e i suoi parlanti) è trattato in modo folclorico, corrotto e degradante, cioè, direttamente o con allusioni, principalmente al crimine o collegato all’ignoranza; una lingua parlata da analfabeti o almeno da ridicoli/simpatici ignoranti. In spregio ad un patrimonio culturale che si evolve da tremila anni, conservando in sé ed esprimendo armonicamente, quelle diversità linguistiche, di tradizioni, socio-culturali che dai tempi Osci e poi magnogreci, sono fonte filosofica per l’umanità stessa.

Al contrario, si assiste spesso, ad una combinazione malefica di certi elementi degradati di una presunta napoletanità che vengono trasmessi al pubblico (anche all’estero) come una sorta di “identità popolare”, altre volte come un presunto “riscatto sociale”, senza alcuna seria indagine su ragioni e cause dei problemi che stanno portando alla disintegrazione di una intera civiltà, sociale, culturale e linguistica, di cui l’Italia, quando vuole, sa farsi invece vanto nel mondo ma, nell’esclusiva accezione di “italiana”….(si pensi alla canzone in lingua napoletana).

Evidente nella quotidianità piuttosto una ignobile, negativa generalizzazione di aree sociali vulnerabili di Napoli e della regione Campania, che sono rappresentate senza speranza. O comunque sia con il peso di una macchia indelebile, colpa, vergogna, sempre latente anche in occasione di una possibile “redenzione” sociale.

Una rappresentazione dei media unilateralmente appunto, negativa, parziale, incompleta, estremizzata.

Questa situazione è particolarmente drammatica per i bambini madrelingua napoletani, specialmente per quelli delle aree più povere, disagiate o a rischio, del territorio campano.

Parliamo di madrelingua perché il Napoletano, almeno per il 70%ed almeno nella città di Napoli è trasmesso come lingua materna (mettiamo qui da parte le comunità napoletane emigrate e lo stesso riconoscimento di lingua ex UNESCO).

La Convenzione internazionale sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, 4 gennaio 1969, promuove e incoraggia il rispetto universale e l’osservanza di diritti umani e libertà fondamentali per tutti, senza distinzioni di razza, sesso, lingua o religione, secondo la Carta delle Nazioni Unite.

Nella presente Convenzione, il termine “discriminazione razziale” indica qualsiasi distinzione, esclusione, limitazione o preferenza basata su razza, colore, discendenza o origine nazionale o etnica che abbia lo scopo o l’effetto di annullare o compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, su un piano di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali nel campo politico, economico, sociale, culturale o di qualsiasi altro settore della vita pubblica.

Questo è molto importante nel caso in cui i diritti culturali e sociali non siano pienamente rispettati:è questo il caso dei soggetti madrelingua napoletana.

In Italia, infatti, l’assenza di una concreta, generale e pedagogica attività formativa circa il valore dell’identità linguistica napoletana ed al contrario,la spietata e sprezzante, parziale sub-rappresentazione e divulgazione “mitizzata” circa il patrimonio linguistico-culturale di Napoli, contribuisce al diffondersi tra giovani e bambini napoletani e campani, per lo più appartenenti a situazioni sociali a rischio, ma non solo, una sottocultura che induce, in un pericoloso effetto domino, questa nuova generazione a cambiare in un modo violento il suo accento e lingua.

Questa “rappresentazione” o diremmo contro-pedagogia indigenista è comune a tutto il Mezzogiorno, perché Napoli è l’emblema dell’Italia meridionale arretrata e ignorante (costitutivamente camorristica, per ricordare le parole dell’allora presidente della Commissione antimafia, on.Rosy Bindi).

Assistiamo così a un doppio attacco ai diritti di questi bambini.

In primo luogo, per i bambini di madrelingua napoletana il sistema dell’educazione italiana e quello dei media impone (come impone alle loro famiglie) di disprezzare la propria lingua od accento, come qualcosa che deve essere perso, o qualcosa di “volgare”, degradante, ignorante come menzionato sopra.

Ovviamente, questo include perdere e svalutare tutto ciò che riguarda la verace dignità culturale della comunità napoletana, il suo patrimonio, a partire appunto dalla lingua.

In secondo luogo: i bambini napoletani riproducono in una sorta di nuova auto-identificazione sociale, atteggiamenti, comportamenti e azioni devianti, mescolati con neologismi volgari o criminali (o imitando termini inventati da attori di personaggi cinematografici criminali) che sono amplificati dai media a fini commerciali e che vengono riprodotti e diffusi come esempi di successo, potere, “immortalità”.

Un nuovo “linguaggio” artificiale e degradante sostituisce la nobile lingua madre napoletana. Infine, la lingua napoletana perde le sue migliori caratteristiche: la musicalità ed espressività, che la hanno resa famosa a livello internazionale. Assistiamo alla fine di un patrimonio culturale inestimabile.

Tutto ciò induce una vera violenza culturale, sociale e linguistica contro una popolazione, un gruppo umano, in particolare quello costituito dai bambini napoletani. Inoltre, pubblicità, fictions e cartoni animati rappresentano sovente personaggi con un accento o lingua napoletani in modo degradato, violento o ridicolo.

Ancora ad esempio è indicativo che negli ultimi trent’anni le notizie relative al cosiddetto Sud Italia pubblicizzate dal TG1 si sono limitate al sólo 9% e quasi tutte hanno riguardato situazioni criminose; negli anni 2000 gli articoli della stampa italiana sull’Italia meridionale sono diminuiti dell’80% e traboccano di temi criminali.

Quindi: da un lato i bambini di madrelingua napoletani imparano a identificarsi in modo negativo in quanto tali, con il sorgere di un doppio pregiudizio: il primo verso se stessi e la loro identità culturale e linguistica, che questi bambini sono indotti a discriminare e odiare o ridicolizzare, il secondo e allo stesso tempo, da parte di tutta la comunità italiana verso di essi. D’altro canto essi apprendono, proprio in quei contesti che invece avrebbero necessità di essere sostenuti economicamente e culturalmente, poiché in situazione di disagio e precarie, un modello sociale vincente, dai tratti e dalle attitudini mafiogene, di cui un presunto Napoletano è lingua, strumento di dominio, di violenza, di morte (!).

Discriminazione, auto minorizzazione, abbandono delle istituzioni, promozione culturale di modelli devianti: un disastro antropologico, sociale, culturale. Questo il panorama italiano sul tema.

Tutto ciò è in conflitto con lo spirito della Convenzione internazionale sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale e in particolare dell’art. 7 considerando la mancanza di misure immediate ed efficaci nei settori dell’insegnamento, dell’istruzione, della cultura e dell’informazione, atti a combattere quei pregiudizi che portano alla discriminazione razziale, nel nostro caso,per i bambini di lingua materna napoletana.

In questo senso, riteniamo particolarmente rilevante il contrasto con il diritto alla pari partecipazione alle attività culturali, un diritto che è seriamente messo in discussione dallo scarso o assente accesso per i bambini madrelingua napoletani, ad una conoscenza focalizzata al rispetto della loro cultura e patrimonio linguistico.

Ciò in effetti, per i motivi sopra menzionati, dovrebbe necessariamente includere anche un’istruzione – corretta – nella loro lingua madre. Un’educazione basata sul valore e sulla dignità sociale della lingua e cultura napoletane, come patrimonio di un’intera comunità. Il lavoro che come Accademia Napoletana sviluppiamo, incontrando in Italia tantissimi ostacoli, come si può ben intendere, date le circostanze, in questa direzione, in Italia ed all’estero. Perché cooperiamo anche con le realtà socio-culturali altre, minorizzate ed afflitte da medesimi problemi, oltre che con le comunità napoletane e campane emigrate. Mentre invece ed al contrario, in Italia, nessuna concreta protezione legale è considerata per la lingua napoletana, tranne i casi in cui poi questo patrimonio (edulcorato quanto non meno mistificato) viene, “venduto” come proprio, per motivi commerciali o di brand “nazionali“.

Tornando alla Carta di cui sopra, è necessario ribadire che la medesima richiede di eliminare la discriminazione razziale in tutte le forme per garantire il diritto all’uguaglianza davanti alla legge senza distinzione di origine etnica, nel pieno godimento, in particolare, dei diritti sociali e culturali.

La rappresentazione sociale e culturale della comunità napoletana e della sua lingua in Italia e la mancanza di tutela legale per il Napoletano è al contrario, in conflitto con le misure, che secondo la Carta summenzionata, lo Stato italiano dovrebbe adottare nei campi dell’insegnamento, dell’istruzione, della cultura e dell’informazione, per contrastare quei pregiudizi che portano alla discriminazione – dei bambini napoletani e del cosiddetto Sud- nel nostro caso.

Semplicemente questo non ha alcun riguardo in Italia per i bambini madrelingua napoletani, esposti fin dalla tenera età a messaggi pubblicitari, informativi e educativi che li presentano come soggetti devianti o retrogradi, “minori”.

Quindi si presenta ad essi come alternativa: seguire modelli sociali degradati o ridicoli, mitizzati dai mass media e associati a una presunta lingua napoletana (spesso declinata come mafiosa,come visto) accompagnati da falsi modelli di “redenzione” sociale o, semplicemente eliminare dal loro bagaglio culturale la propria identità linguistica, ovvero passare un colpo di spugna sul lascito di 3000 anni di civiltà di cui loro dovrebbero essere il testimone per il futuro. Ecco la dissoluzione, diremmo la cancellazione di un gruppo umano (etnocidio,per via del linguicidio).

Essi subiscono una vera discriminazione e violenza morale e culturale: ricevono un’educazione alla minorità rispetto alla loro identità linguistica e culturale, sociale.

Come Accademia Napoletana cooperiamo con attivisti di diritti civili ed in ogni parte del mondo per denunciare democraticamente questo problema, in ossequio ai quei principi di salvaguardia dei diritti dell’uomo cui la stessa costituzione repubblicana si ispira. Non a caso scriviamo su riviste giuridiche, realizziamo eventi, produzioni editoriali, ci occupiamo di recuperare l’antica ed indigena odo-toponomastica di Napoli (carta info-turistica della III°Municipalità di Napoli) e ci battiamo e promuoviamo attività sociali che utilizzino correttamente il Napoletano (campagne di sensibilizzazione civica, attività di promozione culturale radio-internet, ecc.).

Svolgiamo attività di formazione, conferenze internazionali, progetti didattici (il primo corso di lingua e cultura napoletana QCER riconosciuto da un’istituzione pubblica italiana, il Comune di Napoli), siamo apprezzati e riconosciuti in tutto il mondo ed abbiamo avuto modo anche di affrontare la questione in sede ONU, attraverso una lunga intervista ai vostri colleghi italiani di New York. E desideriamo fortemente che questo dramma sociale e culturale sia all’attenzione degli operatori culturali italiani, perché crediamo che una siffatta situazione sia praticamente in aperta violazione dei più elementari diritti umani.

Napoli, 5 Agosto 2020

Massimiliano Verde

Accademia Napoletana