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Dei delitti e delle pene Dei delitti e delle pene
Il dibattito seguito agli indirizzi dati recentemente dall’Europa riguardo il nostro ergastolo “ostativo” (ovvero senza scappatoie né sconti per esempio per i condannati di... Dei delitti e delle pene

Il dibattito seguito agli indirizzi dati recentemente dall’Europa riguardo il nostro ergastolo “ostativo” (ovvero senza scappatoie né sconti per esempio per i condannati di mafia) si è subito acceso in merito alla paventata indicazione di affievolirne l’efficacia.

Per determinare l’utilità di una pena secondo Cesare Beccaria bisogna che “ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino, e dev’essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata a’ delitti, dettata dalle leggi“. Era il 1764, un’altra epoca, quella dell’illuminismo, ma come spesso accade, di tanto in tanto, certe parole di un lontano passato ci ritornano ossessivamente, come se qualcuno si stesse rigirando nella tomba.

Oggi chiamiamo ergastolo una pena che non corrisponde alla realtà. Per infliggere una pena noialtri onesti dovremmo avere la capacità di essere qualcosa di diverso, di ignoto fra le parti, né giusti né sbagliati. Delle divinità super partes in grado di discernere, ragionare, prevedere, inventare. E la nostra incapacità, badate bene, non sta tanto nella non abilità a trovare le giuste punizioni ai delinquenti, ma nel mantenere una procedura nel tempo. Oggi sarebbe più giusto dire “ti dò l’ergastolo salvo la tua e la nostra capacità di convertirti alle leggi della comunità di residenza”. Hai ucciso? Hai stuprato? Bene la persona che hai ucciso avrebbe vissuto più o meno ottant’anni, quindi ti becchi ottant’anni. Compiere un delitto grave è come scendere all’inferno. Solitamente chi scende da quelle parti lo fa per restarci. Eppure non c’è nessuno di più utile per la società di qualcuno che riesca ad uscirne. Perché è come morire e potersi fare raccontare che cosa c’è dopo la morte. E una società decadente come la nostra ha bisogno di recuperare laddove possibile, ancor prima che “reprimere”: perché laddove vi sia certezza di una impossibilità a redimersi sarebbe più onesto uccidere che conservare.

Prontezza, convinzione ed esecuzione; questo servirebbe, per tornare a Beccaria.

La prontezza della pena è utile perché in questo modo l’associazione delle due idee (delitto e pena) è più forte nell’animo umano, in quanto può comprendere più direttamente la relazione di causa ed effetto dei due concetti. Il lungo ritardo fra delitto e somministrazione della pena non produce altro effetto che di disgiungere sempre più questa relazione di causa-effetto. Nell’immaginario collettivo l’immediatezza della pena serve a rinforzare il senso del giusto castigo, mentre il ritardare la pena farebbe percepire il castigo come una forma di spettacolo.

Il risultato dei ragionamenti di Beccaria mostra l’inutilità delle pene che venivano usate rispetto allo scopo perseguito: una pena di grande intensità può essere presto dimenticata ed il delinquente può essere in grado di godere dei frutti del suo misfatto.

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