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Lo stato che uccise lo Stato: in ricordo di Falcone e Borsellino Lo stato che uccise lo Stato: in ricordo di Falcone e Borsellino
Nel 1982 la “Nuova mafia” di Riina e dei “viddani” causava a Palermo un morto ogni tre giorni: quella guerra di mafia fece circa... Lo stato che uccise lo Stato: in ricordo di Falcone e Borsellino

Nel 1982 la “Nuova mafia” di Riina e dei “viddani” causava a Palermo un morto ogni tre giorni: quella guerra di mafia fece circa 1200 morti e servì, naturalmente, ad “alleggerire” le truppe nemiche dei corleonesi. Una forza di fuoco alla quale nessuno era più abituato, una conquista della Sicilia e dell’Italia che fece impallidire perfino la mafia degli “immigrati” americani che si affrettarono a mandare qualcuno ad incoronare il Re “curto”. Pare che la conversazione con l’inviato americano fu breve e che alla fine della conversazione egli annunciò: “in Sicilia comanda u curto“.

Lo Stato fu a tratti impotente di fronte a tale crudeltà armata e questo nel migliori dei casi. Nel peggiore permise da quegli anni in poi, un graduale inserimento di cosa nostra all’interno delle istituzioni, fatto che indebolì fortemente la già fragile struttura antimafia la quale, spesso isolata, snobbata, spiata, si vedrà costretta a creare un pool, anche per guardarsi le spalle dagli amici.

Pio La Torre

Morte del generale Dalla Chiesa: era Stato mandato in Sicilia dopo che i corleonesi avevano fatto capire a modo loro allo Stato la propria forza: la mattina del 30 aprile 1982 Pio La Torre, segretario regionale del Partito comunista e membro della Commissione antimafia, fu ucciso a Palermo mentre si recava in auto alla sede del partito. Il generale, vera vittima sacrificale, fu ucciso insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro il 3 settembre 1983. Le immagini sono purtroppo note ma forse si ricorda meno un cartello che apparve con su scritto “qui muore la speranza dei palermitani onesti“.

Falcone, Borsellino e Caponnetto

Il 29 luglio 1983 un’autobomba uccise Rocco Chinnici, capo dell’Ufficio istruzione di Palermo. A sostituirlo venne Antonio Caponnetto, siciliano di Caltanissetta che creò il pool per rendere meno isolati i vari componenti del gruppo e per avere uno sguardo unitario sul fenomeno mafioso. La chiave di svolta furono le rivelazioni di Tommaso Buscetta, “uomo d’onore” che nella guerra scatenata da Totò Riina aveva perso due figli, un fratello, un genero, un cognato e quattro nipoti. Grazie alla sua collaborazione con Falcone furono spiccati 366 mandati di arresto il 29 settembre 1984.

Nel 1985 fra fine luglio e i primi di agosto furono uccisi Beppe Montana capo della Sezione latitanti della polizia di Palermo e Ninni Cassarà vicedirigente della squadra mobile e stretto collaboratore di Falcone. Soprattutto questo delitto fece capire che la Mobile non esisteva, che non era una struttura ma un impegno di pochi.

Ninni Cassarà

Per concludere l’istruttoria per il Maxi processo Falcone e Borsellino si blindarono nell’isola carcere dell’Asinara, istruttoria che fu depositata l’8 novembre di quell’anno. Dice Borsellino dopo che lo Stato ebbe l’ardire di presentare ai magistrati il conto del soggiorno: «Prima di andarcene ci fecero pagare 415.800 lire a testa per il pernottamento, 12.600 lire al giorno»... niente a che vedere coi voli gratis di stato dei giorni nostri.

Il maxi-processo si chiuse il 16 dicembre 1987 con 360 condanne e 114 assoluzioni. Con questo Caponnetto ritenne chiusa la sua esperienza palermitana. Era ragionevolmente sicuro che il suo posto sarebbe stato preso da Falcone. Non fu così.

E veniamo quindi alla motivazione di questo articolo e ricordo. Perché se molti ritengono oggi di riempirsi la bocca col nome di questi due uomini dello Stato, dello Stato con la S maiuscola, di mettere la loro foto alle spalle mentre vengono intervistati, e addirittura di attaccare la loro immagine sulle mascherine anticovid, le nuove catene dell’epoca moderna, deve sapere che fu in primis lo Stato a lasciarli soli a Falcone e Borsellino. Prima quando nel 1986 li divise, spostando Borsellino, nominato Procuratore della Repubblica, a Marsala (Trapani). Infine quando fu nominato Antonino Meli (con la scusa dell’anzianità) capo dell’ufficio istruzione di Palermo, bocciando Falcone. La mafia era entrata. E sulle scrivanie del pool cominciarono a piovere scartoffie burocratiche.

Le immagini degli attentati a Falcone sull’autostrada a Capaci e di Borsellino in via D’Amelio sono fra quelle che non potrò mai dimenticare, andavo alle medie e non capivo come si potesse uccidere l’eroe buono, quello che alla fine deve sempre vincere. Ed una sequenza che non posso proprio togliermi dalla testa è quella scia di auto con tanto di sirene a festa che da Palermo corrono verso Capaci. Le sirene si chiamano così per un motivo. E penso che se qualcuno ha premuto un bottone sapeva esattamente quando farlo.

Mirko Mocellin