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Se non ci liberiamo dalla ‘routine’ non raggiungeremo mai la libertà di pensiero Se non ci liberiamo dalla ‘routine’ non raggiungeremo mai la libertà di pensiero
BLOG di Samuele Atzori Il cervello umano, quando apprende un concetto o svolge un’attività, tende a ripeterne nel futuro le caratteristiche. Quando ascoltiamo molto... Se non ci liberiamo dalla ‘routine’ non raggiungeremo mai la libertà di pensiero

BLOG di Samuele Atzori

Il cervello umano, quando apprende un concetto o svolge un’attività, tende a ripeterne nel futuro le caratteristiche.
Quando ascoltiamo molto una canzone, ad esempio, essa sicuramente ci si ripresenterà nella testa anche nei momenti successivi.

La mente crea schemi e pattern, e se noi non gliene proponiamo di nuovi, ripresenterà sempre e solo gli stessi, creando un circolo vizioso che provoca
soddisfazione e assuefazione, capaci di annichilire il ragionamento critico. Ciò avviene a causa della predominanza del nostro inconscio. Chi amministra il sistema conosce molto bene questo processo naturale e
fa in modo che siano sempre le stesse cose a fluttuare nella nostra vita.

Una macchina industriale è impostata per eseguire sempre lo stesso compito, funziona attraverso l’azione meccanica di più strumenti che
ripetono ciclicamente il medesimo movimento. Essa non presenta un organo della ragione ma congegni che tramite impulsi operano costantemente in modo identico. La conseguenza finale per un essere umano di ripetere quotidianamente gli stessi atti, senza porsi dei quesiti, è quella di trasformarsi in una macchina priva di capacità di discernimento: anche il cervello, come ogni altro organo del corpo che venga poco usato,
inizia ad atrofizzarsi.

Vivere facendo tutti i giorni lo stesso lavoro, svolgere sempre le stesse identiche procedure, condurre una quotidianità identica sempre a se stessa è un danno non da poco per la nostra mente.

L’attuale sistema economico e consumistico ci ha abituato ad accettare come giusta una qualsiasi mansione lavorativa purché porti uno stipendio: in realtà, si tratta di accogliere la schiavitù che i potenti hanno attentamente studiato per le masse.
Ci hanno insegnato che “il lavoro nobilita l’uomo”, ma questo proverbio è solo una delle tante sciocchezze inculcate a forza nelle menti dei nostri avi che a loro volta l’hanno instillata nelle generazioni successive.
In passato, c’è stata la tendenza da parte delle persone più anziane a considerare quei giovani che non accettavano di ripetere la loro stessa vita come vagabondi e poco di buono. In realtà anche loro avrebbero dovuto comprendere che il proverbio più adatto e veritiero da insegnare era che “il lavoro nobilita i ricchi”. Un manager che guadagna mille volte di più
rispetto al salario dei suoi operai, sa bene che quel reddito astronomico può realizzarsi solo grazie al loro lavoro. Bisognerebbe che tutti gli imprenditori, i manager d’industria, i cosiddetti “colletti bianchi”
facessero proprio il grande insegnamento di Adriano Olivetti: “Nessun dirigente, neanche il più alto in grado, deve guadagnare più di dieci volte l’ammontare del salario minino”. Non riflettiamo mai sul fatto che i principi
d’uguaglianza, nel sistema imprenditoriale non esistono. Una società amministrata da poche persone che guadagnano molto di più facendo un lavoro oltretutto meno faticoso dei loro sottoposti, non è da considerarsi equa. Gli anziani di un tempo e tutti color che ancora oggi considerano fannulloni i giovani che non accettano certi lavori perché non vogliono essere schiavi del sistema, devono semplicemente accettare la loro ribellione come giusta e sana. Così come per il lavoro, lo stesso vale per la religione. Quel bambino che si stufa della messa e preferisce uscire a giocare, non può essere considerato ‘cattivo’: la sua intelligenza
semplicemente non accetta di essere imbeccata con le
solite filastrocche. L’abitudine è un narcotico che nel tempo affoga e rende il cervello incapace di reagire, e questo, un bambino in fase di crescita lo avverte. Quando un concetto è stato appreso e fatto proprio non è poi necessario ripassarci sopra quotidianamente, anzi è controproducente perché col tempo, questo innesca un circolo vizioso in cui la mente si lascia sempre più narcotizzare, anche come rimedio alla noia. Una persona che svolge un lavoro poco piacevole, aspetta solo che il turno finisca e arrivi la sera per uscire e magari bere qualcosa: gli alcolici sono assunti spesso
per rendere tollerabile una vita banale e spiacevole. La routine che ci rende schiavi del sistema, crea inoltre dipendenza: fa in modo che continuiamo a ricercarla, arrivando persino a credere che l’abbiamo sempre desiderata. Basta fare l’analisi di ciò che ci è stato costruito attorno, per notare che quasi tutto sia solo un mero marchingegno d’abitudini inculcate.
Prendiamo ad esempio il caso degli energy drink.
All’inizio, alla maggior parte delle persone non piacevano, avevano un gusto strano e poco gradevole. Tuttavia grazie ad un ben congegnato martellamento pubblicitario sono entrati prepotentemente nella nostra
vita quotidiana. Col tempo, il loro effetto euforico indotto è stato accolto come piacevole e persino utile. Abbiamo così integrato, in modo del tutto passivo, un vero e proprio veleno: gassato, ricco di sostanze
zuccherine e carico di caffeina. Per evitare che la routine prenda il sopravvento, dobbiamo proporre alla mente schemi sempre nuovi e
dirigere il pensiero verso orizzonti non preimpostati dal sistema.

Solo comportandoci da veri fondatori della nostra vita, possiamo avviarla al processo di apertura che vada oltre la ripetitività.

Samuele Atzori – “T’Indottrino”, Edizioni Sì, 2018

T'Indottrino — Libro di Samuele Atzori