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Violenza di genere, discriminazione e lingua napoletana Violenza di genere, discriminazione e lingua napoletana
MASSIMILIANO VERDE -Accademia Napoletana Alle madri dei bambini di lingua materna napoletana viene indotto da certo sistema “pedagogico” italiano, anche locale, d’insegnare ai figli... Violenza di genere, discriminazione e lingua napoletana

MASSIMILIANO VERDE -Accademia Napoletana

Alle madri dei bambini di lingua materna napoletana viene indotto da certo sistema “pedagogico” italiano, anche locale, d’insegnare ai figli il “parlar bene”, riprendendoli quando si esprimono in Napoletano

La violenza di genere, nell’ambito delle discriminazioni versus la donna è un tema che oggigiorno risalta in numerose (ed anche a volte,impropriamente) all’attenzione mediatica dell’opinione pubblica italiana.

Il presente articolo è (ideale proseguimento del precedente già pubblicato in questo blog) scaturito dalle riflessioni e dal lavoro accademico internazionale di chi scrive, e desidera sottolineare un aspetto di tale problema praticamente inesistente nel dibattito culturale e sociologico in Italia, ma non all’estero.

Trattasi della violenza socioculturale, di stampo lombrosiano, di cui è vittima inconsapevole, la donna meridionale come soggetto di diritti, anche come madre, violenza che si riverbera poi sui figli di tale comunità, quale è quella napoletana.

Alle madri dei bambini di lingua materna napoletana viene indotto infatti da certo sistema “pedagogico” italiano anche locale, d’insegnare ai figli il “parlar bene” ovvero, a riprendere i loro figli quando questi ultimi si esprimono in Napoletano, in quanto tale lingua sarebbe ontologicamente “un male” di per se, essi stessi sono un male di per sé e quindi vanno cambiati, per essere altro. Violenza subita dalle madri di questi fanciulli che si fanno attrici di un compito profondamente auto-alienante, verso loro stesse e la loro prole, il futuro della comunità con azioni ed effetti spaventosamente anti-democratici.

In sostanza siamo in presenza di di una duplice violenza istituzionale sia verso la madre (sorgente educatrice degli uomini di domani) che verso la prole. Si va quindi a cancellare la loro intima identità sin dall’infanzia, tale rimozione o degradazione/edulcorazione dell’identità verrà poi fortificata dai mass-media italiani durante il percorso di crescita. Proprio mentre la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di Discriminazione nei confronti delle Donne, impegna gli Stati parte a tutelare la funzione sociale della maternità, ovvero di progresso sociale per una comunità, che anche qui viene compressa e violata da un’azione educativa materna alla disistima della dignità sociale e culturale dei figli, quale è quella che le madri napoletane sono indotte dal sistema culturale italiano a trasmettere a quelli.

Queste donne pertanto sono colpite in quanto soggetti di diritti e nel loro ruolo sociale di madri, o gli viene lasciato in eredità un abbrutimento, una degradazione linguistico-culturale, socialmente trasversale che a loro trasmetteranno ai loro figli.

Osserviamo quindi una limitazione all’esercizio da parte di queste donne, di quei diritti umani e libertà fondamentali in campo sociale, culturale e civile, solennemente tutelati dalla Convenzione di cui sopra. Senza ch’esse ne abbiano coscienza, addirittura come agenti di tale (auto)limitazione.

Una disgregazione in nuce della comunità sociale, culturale e linguistica napoletana e quindi di conseguenza, nazionale che si configura anche come lesiva dei diritti all’autonomia e l’autodeterminazione delle donne, elementi baluardo ed argine alla violenza morale e psicologica e, di quella partecipazione all’elaborazione e all’attuazione di politiche e alla definizione di linee guida e di norme di autoregolazione atte a prevenire la violenza contro le donne e rafforzare il rispetto della loro dignità che lo Stato Italiano dovrebbe incoraggiare nei confronti del settore privato, il settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione e i mass media, secondo quanto disposto dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.

Inoltre generatrice e consolidatrice di stereotipi e auto colonizzazione sociale è la perenne rappresentazione della donna napoletana ed in genere meridionale come rozza, grassa (modello antitetico al vincente) ignorante e volgare e sottomessa ad un perenne stato di “patriarcato”, racconto che certo femminismo radical chic contribuisce ad alimentare.

Quanto sopra, si configura pertanto come un ambito di riflessione circa il concetto di bullismo e di violenza contro le donne che crediamo molto indicativo, costituendo il caso in esame come esemplare e purtroppo paradigmatico almeno in Occidente, relativamente ad un’intera comunità socio-culturale, quale quella napolitana e dei napoletani e campani, in quanto cittadini della nazione italiana, anche rispetto ai principi costituzionali che tutelano la sovranità, la dignità umana, l’eguaglianza, la libertà d’espressione ed il progresso democratico della nazione.

L’Accademia Napoletana che si occupa della tutela e promozione del patrimonio linguistico e culturale lavora per denunciare queste problematicità in cooperazione con comunità socio linguistiche che vivono pari minorizzazioni, morali, linguistiche e più ampiamente socio culturali (comunità native americane ad esempio) poiché anche necessario a dipanare molta ipocrisia su questo aspetto del tema dei diritti delle donne che in Italia è del tutto (volutamente) oscurato.

ACCADEMIA NAPOLETANA