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Spaventoso attacco a Beirut, in attesa del verdetto per l’omicido del premier Hariri Spaventoso attacco a Beirut, in attesa del verdetto per l’omicido del premier Hariri
Almeno cento morti, migliaia di feriti, interi quartieri distrutti dall’esplosione di 170 tonnellate di nitrato d’ammonio Mentre il Tribunale Internazionale speciale per il Libano,... Spaventoso attacco a Beirut, in attesa del verdetto per l’omicido del premier Hariri

Almeno cento morti, migliaia di feriti, interi quartieri distrutti dall’esplosione di 170 tonnellate di nitrato d’ammonio

Mentre il Tribunale Internazionale speciale per il Libano, istituito all’Aja, si appresta (il 7 agosto) a emettere la sentenza per l’omicidio del Premier libanese Hariri, avvenuto nell’ormai lontano 2005, un attacco di terrificanti proporzioni mette in ginocchio Beirut. Un deposito contenente, secondo le cifre ufficiali, 170 tonnellate di nitrato d’ammonio è saltato in aria nel porto della città, riducendo in macerie i quartieri circostanti, causando oltre cento morti e migliaia di feriti, di cui moltissimi in gravi condizioni, e circa 300.000 sfollati.

Il nitrato d’ammonio, che è anche un fertilizzante, ha una capacità esplosiva pari se non superiore a quella del tritolo, e 170 tonnellate sono una quantità che, opportunamente innescata, vale un piccolo ordigno tattico atomico.

Il porto di Beirut dopo l’esplosione

Una scorsa ai giornali libanesi, mostra come la presenza nel porto di Beirut, che è poi al centro della città, di un tale deposito, fosse da tempo nota all’opinione pubblica, e che molti erano stati nel passato gli appelli a liberare la città da questa sorta di pistola alla tempia.

Infatti stiamo parlando di Beirut, capitale del Libano, una sorta di bersaglio permanente per tutte quelle forze, di Stato o di fazione, che usano normalmente il terrore come arma per sostenere le proprie ragioni e i propri interessi.

Imputati all’Aja, ma in contumacia, per l’omicidio di Hariri (uomo direttamente legato all’Arabia Saudita, imprenditore vicino agli ambienti finanziari internazionali, in particolare francesi e statunitensi) sono alcuni esponenti di Hezbollah, il partito sciita libanese, forte di una milizia militare di alta efficienza, l’unica forza araba ad uscire vittoriosa da una guerra con Israele, che ha fallito più volte nel tentativo di scacciare Hezbollah dal sud del Libano.

Gli imputati sono gli uomini al vertice dell’organizzazione militare di Hezbollah (il ‘partito di Dio’), e naturalmente non si sono consegnati, né tanto meno sono stati consegnati, alle autorità internazionali. Occorre ricordare che Hezbollah non è semplicemente un partito politico che partecipa alle elezioni. Da decenni il Libano non può essere considerato uno Stato convenzionale, con un governo che controlla il territorio ‘libanese’: le diverse milizie, i diversi ‘partiti’ (etnici o religiosi) hanno il controllo totale del loro territorio di riferimento.

Gli osservatori internazionali sono divisi rispetto allo svolgimento del processo. Difatti, se l’informazione occidentale cosiddetta ‘mainstream’ (ossia vicina al potere), considera Hezbollah un movimento terroristico, e ritiene fondate le accuse per il caso Hariri, nelle capitali arabe, ma anche altrove, i dubbi superano di gran lunga le certezze.

Innanzitutto, una commissione d’inchiesta internazionale concluse che la responsabilità fosse da attirbuire direttamente alla Siria, che all’epoca stava perdendo, a causa della politica filo-sauidita di Hariri, la sua influenza sul Libano. Poi, Hezbollah ha invece prodotto elementi di prova (video) che starebbero a indicare la responsabilità di Israele: difatti, mentre la ricostruzione ufficiale punta sull’azione di un kamikaze che avrebbe affiancato, con un furgone, il corteo presidenziale prima di farsi esplodere, il video di Hezbollah mostra l’esplosione di un missile. Ovviamente, i sostenitori della teoria del kamikaze (e della colpevolezza di Hezbollah) giudicano un ‘falso’ il video, e si appoggiano nella loro tesi su una serie di testionianze locali, di cui non è possibile però stabilire la genuinità.

Sembra evidente, al di là di ogni ragionevole dubbio, il collegamento fra l’attacco di ieri e questo processo. E, per quel che si sa della politica libanese, (e se ne sa molto, dato che da decenni questa martoriata terra è sotto i riflettori internazionali) nessun gruppo locale avrebbe mai progettato lo sterminio indiscriminato di civili (di ogni etnia e religione) e la distruzione del centro di Beirut, territorio ‘neutrale’ e molto amato: nulla di tutto questo è mai successo in decenni di guerra civile, in cui gli scontri erano rigorosamente territoriali.

Dunque è lecito ritenere che la mano vigiacca sia straniera, e che il messaggio ai giudici possa essere “condannateli” o invece “assolveteli”. Questo, a noi non è dato sapere. Ma è certo che i giudici dell’Aja hanno invece modo di interpretarlo, e presumibilmente lo interpreteranno.

O. N.