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“Progressisti” e “ambientalisti”, i migliori amici dei banchieri “Progressisti” e “ambientalisti”, i migliori amici dei banchieri
Non ha senso pensare a una società industriale e globalizzata che rispetti la Natura e la Libertà. Fabrizio Zani Quando arrivò Greta a denunciare... “Progressisti” e “ambientalisti”, i migliori amici dei banchieri

Non ha senso pensare a una società industriale e globalizzata che rispetti la Natura e la Libertà.

Fabrizio Zani

Quando arrivò Greta a denunciare il cambiamento climatico, ai più ‘scafati’ fu chiaro che si trattava di uno show messo in piedi dell’establishment economico-politico per lanciare le accattivanti parole d’ordine della quarta rivoluzione industriale: “rivoluzione” beninteso, come “grande cambiamento” spinto e programmato dall’oligarchia.

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L’inquinamento è un dramma ben al di là del cambiamento climatico, ma l’apparizione di Greta spostò tutta l’attenzione su quel problema, e si disse che occorresse una transizione verso l’elettrico per eliminare il riscaldamento dell’atmosfera dovuto al consumo dei carburanti fossili.

A distanza di pochi anni, nulla è cambiato, le “agende” internazionali sono piene di buoni propositi che non hanno alcuna alcuna possibilità di essere realizzati, e che vengono continuamente spostati in avanti nel tempo: mentre appare ben evidente che il livello di guardia di inquinamento sia stato superato da un pezzo, su tutti i piani.

Modificare un sistema produttivo che ha nella chimica il suo pilastro (alimentazione, medicina, trasporti, materiali da costruzione, materiali da abbigliamento, da arredamento e via dicendo) è praticamente impossibile: innanzitutto a causa degli interessi in gioco.

Inoltre, lo stile di vita cui ci siamo abituati è troppo radicato nella mentalità collettiva: chiunque si azzardasse come è successo ai teorici della decrescita a proporre di rinunciare ai “progressi della tecnica” sarebbe immediatamente fucilato alla schiena.

Gli ambientalisti sono cervelli incapaci di vedere la realtà. Sperano, col cuore, ovviamente, che chi detiene il potere per qualche misteriosa ragione ne distrugga le basi stesse, sposando il “bene”, inteso come interesse comune, contro “il male”, inteso come puro interesse individuale, o al massimo di casta. A questo si aggiunga che gli ambientalisti sono ‘progressisti’: sognano di essere “cittadini del mondo” senza rendersi minimamente conto che l’annullamento delle identità culturali ed etniche (su cui si basa la costruzione del mondo globalizzato) passa necessariamente attraverso la distruzione delle frontiere e delle identità legate al territorio e alla lingua.

Le “frontiere”, o se preferite i “confini” sono il solo strumento che esista per opporsi alla globalizzazione, il solo modo che ha un popolo di conservare la propria lingua, le proprie usanze, le proprie produzioni, in definitiva di difendere il proprio territorio. Una volta che il confine salta, è come se si spalancasse la porta della casa, e da quel momento chiunque ne abbia la forza può entrare o metterci dentro ciò che più gli aggrada.

Nella storia è sempre stata usata, più o meno coscientemente, questa tattica: ideali “progressisti” che hanno sbaragliato le stutture sociali esistenti, ed aggressione economica da parte delle classi ricche.

In parole povere, idee “di sinistra” che aprono la strada al potere. L’ambientalismo (ossia i filtri alle ciminiere e le auto elettriche) è perfetto per gli industriali, che se riescono a “inquinare meno” perpetuano tranquillamente il loro potere e continuano ad ammazzarci con la chimica a gogò – prima ci ammalano, e poi ci “curano”….

A queste idee “di sinistra” la cosiddetta “destra” riesce a ripondere solo con gli stereotipi più classici (Dio, Patria e Famiglia) e finisce, per ragioni squisitamente storiche e sociologiche, a “reagire” alla sinistra, negando anche l’evidenza e puntellando il potere economico-bancario.

E ovviamente parliamo della destra conservatrice, perché la destra liberale è perfettamente in sintonia con l’oligarchia.

Dagli sconvolgimenti dovuti all’accelerazione del processo di globalizzazione può nascere una coscienza che ci liberi dagli schemi del XIX secolo? Probabilmente sì, perché il cammino ce lo stanno indicando, passo passo, gli stessi globalisti. Riappropriarsi di un rapporto profondo col territorio e la natura, lavorare in un’economia contadina, artigianale, pastorale. Coltivare biologico, curarsi con prodotti naturali, abitare in insediamenti di persone che condividano i medesimi stili di vita. Creare percorsi educativi autonomi, dare vita, o dare forza, alle strutture politiche territoriali… riscoprire l’ecologia profonda (per cui un albero non è solo un pezzo di legno e un cervo non è solo un pezzo di carne) augurandosi che gli interessi divergenti delle diverse élites del mondo assicurino spazi di manovra sufficienti perché gli ideali di libertà non siano completamente schiantati, insieme agli uomini e alle donne che ne sono oggi solitari portatori. Ogni opzione che non sia la costruzione di una società legata al territorio e alla natura è perfettamente in linea con gli interessi del Potere dei Banchieri.

Franco Slegato