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Mens sana in corpore sano, “il microbo è niente, il terreno è tutto” Mens sana in corpore sano, “il microbo è niente, il terreno è tutto”
quando una cellula messa in una coltura è sofferente, per scoprirne la causa bisogna osservare prima di tutto l’ambiente e non soltanto la... Mens sana in corpore sano, “il microbo è niente, il terreno è tutto”

Di Mirko Mocellin

La celebre locuzione latina tratta dalla satira decima di Giovenale è volta a mostrare la vanità dei valori o dei beni (come ricchezza, fama e onore) che gli uomini cercano con ogni mezzo di ottenere. Solo il sapiente si rende conto che tutto ciò è effimero e talvolta anche dannoso.

Sapienza e saggezza nell’epoca odierna stanno lasciando sempre più spazio a superficialità e ignoranza. La motivazione è propedeutica al cammino che i “contemporanei esseri pensanti” hanno inteso intraprendere, soprattutto dopo le guerre mondiali e le rivoluzioni industriali e tecnologiche. Demandare la fatica di imparare ad un calcolatore (divenuto poi personal computer), che ti da risultati, spiegazioni e soluzioni senza che si debba faticare usando il cervello, ha comportato un regredire fisiologico; ha inaridito il terreno nuovo sul quale si era deciso di correre per fare più in fretta senza più osservare gli immensi panorami circostanti. Il terreno è fondamentale perché più si creano le condizioni per una evoluzione sana e più il risultato sarà interessante. Questo discorso non vale soltanto per questo ragionamento. Tutto è collegato, basta saper osservare e approfondire. Se non osservi non cresci.

Secondo Giovenale l’uomo dovrebbe aspirare a due beni soltanto: la sanità dell’anima e la salute del corpo. Esse dovrebbero essere le uniche richieste da rivolgere alla “divinità” che, sottolinea il poeta, sa di cosa l’uomo ha bisogno più dell’uomo stesso.

Oggi consideriamo malattia un qualcosa che deve essere “sempre” combattuto con farmaci specifici, antibiotici, vaccini. Sulla base di uno “standard” sanitario che deve essere uguale per tutti. Ed è su questa banalizzazione tragica che alcuni arditi della “scienza ufficiale hanno giocato per i loro scopi di profitto. L’obiettivo è quello di diffondere cure farmaceutiche per ogni cosa, perfino per combattere i sintomi provocati dalle prime, e pesare su menti indebolite dal progresso per arricchire un novo sistema elitario e dittatoriale. Il mezzo usato sono i mass media, sempre più al soldo della politica e non dell’informazione. Il recettore è il gregge. Il fatto è che non siamo tutti uguali.

Il professor Antoine Béchamp, classe 1816, medico e chimico francese, all’epoca docente presso l’Università di Montpellier e contemporaneo di Louis Pasteur (elaborò una teoria del pleomorfismo sui germi patogeni in contrasto con le conoscenze della biologia e di Pasteur), osservò che persone diverse esposte allo stesso pericolo infettivo, come le infermiere e i medici degli ospedali, avevano reazioni diverse che facevano sì che alcuni si ammalassero e altri no. Attraverso i suoi studi Bechamp si rese conto che i microbi erano adattogeni e polimorfi, cioè che potevano “cambiare dimensioni e forma secondo lo stato di salute dell’organismo in cui vivono”.

I microrganismi, come un batterio specifico, possono assumere più forme. I batteri non hanno alcuna azione sulle cellule vive, solo sulle cellule morte. Non sono la causa della malattia, ma il risultato. In molti casi di polmonite i pneumococchi appaiono sulla scena da 36 a 72 ore dopo l’insorgenza della malattia. Il dibattito di allora è un dibattito anche dell’oggi, nonostante nel passato vinse Pasteur e gli studi eccezionali svolti da Bechamp rimasero misconosciuti. Ma Pasteur stesso sul finire dei suoi giorni si espresse rinnegando le convinzioni che aveva divulgato, e affermando: “Il microbo è niente, il terreno è tutto”.

Oggi gli studi che confermano questa realtà sono numerosi ed eclatanti, ma ancora il miraggio di delegare alle industrie farmaceutiche il funzionamento del nostro sistema immunitario agisce nell’immaginario collettivo e nelle tasche degli speculatori. Il pensiero che si sviluppò negli anni in cui Pasteur promulgò il suo metodo vaccinale è diventato poi dominante e vede il corpo umano avulso dalla relazione con il contesto e incapace di mantenersi in salute: abbiamo bisogno di dipendere da farmaci e interventi esterni di tipo antropico specialistico; della natura non ci possiamo fidare. Da questa mentalità che vede l’essere umano avulso dal proprio contesto naturale e incapace di mettersi in relazione con esso nasce l’antibiotico, ovvero “una sostanza prodotta da un microrganismo, capace di ucciderne altri. Il significato della parola (dal greco) è “contro la vita“. D’altra parte anche Darwin, entrando negli ultimi anni della sua vita (fine ’800), arrivò a scrivere: “A mio parere, il più grave errore che ho commesso è non aver dato sufficiente peso all’azione diretta dell’ambiente: il nutrimento, il clima e così via, indipendentemente dalla selezione naturale. Quando scrissi L’Origine, e per molti anni a seguire, non trovai che scarsissime prove dell’azione diretta dell’ambiente, ora invece sono numerose”.

Irv Konigsberg, fu uno dei primi biologi cellulari a padroneggiare l’arte di clonare le cellule staminali. Disse che “quando una cellula messa in una coltura è sofferente, per scoprirne la causa bisogna osservare prima di tutto l’ambiente e non soltanto la cellula“. Quando si fornisce un ambiente sano alle cellule, esse prosperano; quando l’ambiente è meno che ottimale, stentano. Mettendo a posto l’ambiente, le cellule «malate» guariscono.

Varrà anche per gli uomini contemporanei?