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Legnini: la casta non muore mai. Le intercettazioni del caso Palamara svelano il maleodorante rapporto fra magistratura, politica e informazione Legnini: la casta non muore mai. Le intercettazioni del caso Palamara svelano il maleodorante rapporto fra magistratura, politica e informazione
E’ il 29 maggio 2019, quando il famigerato Luca Palamara chiama Legnini, (poi candidato del PD alla Presidenza della Regione Abruzzo) per parlargli della... Legnini: la casta non muore mai. Le intercettazioni del caso Palamara svelano il maleodorante rapporto fra magistratura, politica e informazione

E’ il 29 maggio 2019, quando il famigerato Luca Palamara chiama Legnini, (poi candidato del PD alla Presidenza della Regione Abruzzo) per parlargli della sua ormai difficile situazione, dopo che è diventata pubblica l’nchiesta per corruzione nei suoi confronti, e di come si potrebbe rimediare alla cattiva luce che la stampa (in questo caso Repubblica) sta inevitabilmente gettando su di lui e sul suo entourage.

Lo si potrebbe definire un ‘caso di scuola’, o più semplicemente uno spaccato dei rapporti di stampo piduista fra informazione, magistratura e partiti politici.

Palamara, ex procuratore aggiunto di Roma è il capo di Unicost, la corrente “moderata” delle toghe, è, come si scopre dalle intercettazioni ambientali e telefoniche, una sorta di Lico Gelli della Magistratura italiana, che decide e condiziona le carriere, in particolare dei Pubblici Ministeri (grazie alla riforma Castelli che verticizzando le procure li mise tutti al servizio del Procuratore Capo).

Ebbene, Palamara, con l’esponente del partito democratico, allora vicepresidente del CSM, parla di come condizionare la linea editoriale di Repubblica, tramite la sua amicizia col giornalista Claudio Tito.

Legnini conferma che Claudio Tito ‘conta’, là dentro, ma offre anche il suo personale intervento ‘nei piani alti’ (Carlo De Benedetti ha la tessera n°1 del Parito Democratico) ai quali ha tranquillamente accesso e dove è ascoltato.

Legnini specifica che “deve passare la linea della vendetta” nei confronti di Palamara. Dimostra così di essere al corrente della veridicità delle accuse nei suoi confronti, e di essere schierato con lui.

Dopo che questa intercettazione è resa pubblica, Legnini non si perde d’animo, e prova a negare l’evidenza in una intervista in cui, naturalmente, si autodefinisce un millantatore e uno sprovveduto (ma non era vicepresidente del CSM?…) e chiede scusa a Repubblica per una ‘frase infelice’. Ecco la sua nuova dichiarazione al giornale che fu di De Benedetti e ora è di Elkann.

“Vorrei contestualizzare quello che è accaduto. Siamo al 29 maggio del 2019, Repubblica aveva raccontato i primi esiti dell’inchiesta di Perugia. Poiché alcuni episodi si riferivano anche alla mia consiliatura, chiesi di incontrare Palamara per capire. Mi fornì una versione dei fatti molto diversa da quella che poi è emersa dagli atti di indagine. Lui si diceva oggetto di una sorta di congiura. E io sbagliai a credergli. Mi chiese come potesse far emergere la sua versione. Mi sembrava un uomo distrutto e mi dichiarai disponibile ad aiutarlo”.

Del resto, prosegue Legnini, “mai avrei potuto orientare Repubblica né nessun altro: non ne avevo il potere ed è lontanissimo dalla mia concezione di indipendenza della informazione” . E non è sicuro, ma sembra che rilasciando questa dichiarazione sia anche stato capace di rimanere serio.

Le intercettazioni rivelano anche il coinvolgimento di altri noti giornalisti, di altri uomini politici del Partito Democratico (dunque la polemica sulle ‘toghe rosse’ non sarebbe poi così campata in aria, ammesso che ‘rosso’ sia un aggettivo ancora riferibile a personaggi come Legnini) di altri giudici e addirittura dell’attuale Vice Presidente del CSM Ermini.

E’ la Casta, che nessuno riesce ad abbattere e che mantiene posizioni di governo e di potere, anno dopo anno, elezione dopo elezione.

Franco Slegato