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Le implicazioni socio-antropologiche del fenomeno coronavirus: un’analisi diacronica di un futuro possibile, alla luce di un passato morto e (quasi) sepolto Le implicazioni socio-antropologiche del fenomeno coronavirus: un’analisi diacronica di un futuro possibile, alla luce di un passato morto e (quasi) sepolto
di Maria De Deo Partiamo da lontano: peste del 1348, rimasta endemica in Europa per oltre trecento anni, ricomparendo ora qua ora là nel... Le implicazioni socio-antropologiche del fenomeno coronavirus: un’analisi diacronica di un futuro possibile, alla luce di un passato morto e (quasi) sepolto
di Maria De Deo        

Partiamo da lontano: peste del 1348, rimasta endemica in Europa per oltre trecento anni, ricomparendo ora qua ora là nel continente, fu una vera e propria pandemia che modificò per sempre la società di allora.

La peste. Trionfo della Morte. Palazzo Sclafani, Palermo. XV sec.

Dopo quella terribile peste nera nulla fu più lo stesso, l’animo umano ne subì una profonda modifica, la società cambiò i propri assetti comportamentali e connotati dei modi di rapportarsi fra le persone e le istituzioni e la coscienza di “vivere il mondo e nel mondo”. Senza scomodare illustri sociologi e antropologi di cui non vogliamo qui riportare specificamente analisi e teorie, vogliamo semplicemente tentare di tracciare un quadro di una società del futuro, anzi, del dopo-Covid19, esattamente come fosse o fosse stato un innesco o, a seconda dei casi, un moltiplicatore dello statu quo ante, della condizione cioè in atto prima della pandemia da coronavirus.

Trionfo della Morte e danza macabra, Clusone (Bergamo), oratorio dei Disciplini. XV sec.

Tornando alla peste nera: essa contagiò ed uccise circa 25 milioni di persone, più di un terzo della popolazione totale del vecchio continente. Fondamentalmente due furono i principali filoni nati nell’umanità del tempo come reazione allo sfacelo prodotto dalla peste. Da una parte la terribile quotidianità ed il contatto con la morte certamente non furono cosette da nulla. La popolazione, certo molto più sparuta di quella odierna, ne dovette cavare sentimenti nuovi: era sicuramente abituata alle invasioni, alle violenze, alle malattie, ai “rimedi” delle fattucchiere o dei cerusici, ai cataplasmi, alle amputazioni, alle nefandezze, alla morte ma non in quelle modalità e proporzioni, non in quella “inspiegabilità”. Si veniva feriti a morte o si moriva per febbri (poco contagiose) o per mano di un nemico ma mai la morte era sembrata tanto potente e presente, tanto incontrollabile.

Il tutto assemblato in una società che gli studi storici dettagliati delle Annales ci hanno consegnato come fatta di un quotidiano, sì molto precario dal nostro punto di vista, ma assai formato e strutturato per il proprio tempo, graniticamente comunque fondato sulle proprie certezze (potere ricostituito dopo lo sfascio dell’impero romano e le invasioni barbariche, le strutture feudali, la fede, la sopravvivenza, la famiglia come nucleo produttivo di sostentamento, la precarietà, la giornata scandita dal sorgere del sole e dal tramonto e dalla campana delle canoniche). Se da una parte vi fu un florilegio di monasteri, sia per motivi escatologici (procacciarsi la purificazione pregando) sia per motivi di sicurezza (l’isolamento in una comunità dai costumi sobri e regolamentati dà maggior garanzia di sopravvivenza), d’altra parte la popolazione entro le mura delle città fortificate era più che mai incline ad affidarsi alla preghiera…libera nos Domine, come ad una ancora di salvezza. La popolazione viveva spesso in nuclei molto numerosi e dediti o al lavoro dei campi o ai mestieri artigianali; le famiglie erano strutturate secondo la convivenza di tutte le generazioni, dai trisavoli ai bisnipoti e si era “abituati” ad avere dentro una stessa stanza la salute e la malattia, la decadenza senile e l’esuberanza giovanile. La morte era un “dramma” familiare vissuto come una routine naturale delle cose. Certo, però, quella frustata di estrema mortalità della peste nera sconvolse la routine, persino della morte in casa. Ci si dovette sentire più che mai in balia della sorte. Una sorte spesso malevola che si cercava di rabbonire con preghiere o sfidare a via di bestemmie. Insomma una precarietà totale si accompagnava alla condizione di impotenza.

La Danza macabra di Cristoglie, affresco nella chiesa slovena della SS. Trinità

Torniamo al rito della morte: da una parte la si esorcizzava, “convivendola”: i canti sepolcrali il “tutto è vanità”, le danze macabre… in un circense tentativo di giocare con il troppo crudo e serio, l’umanità cinica e brutale giocava con la morte, non potendo fare altro. I vivi indossavano le maschere da scheletri, e danzavano inebriati nei cimiteri come per le vie delle città, non v’era soluzione di continuità, ormai, fra vita e morte. Quasi a dirle chiaro in faccia – alla morte – che non si aveva più paura di lei. Poiché quando la paura si protrae all’infinito, magicamente poi svanisce, quasi dimenticando il motivo che l’ha causata.

Galileo e il cannocchiale

D’altro canto, dal sentimento di impotenza, dal doversi affidare a un Dio imperscrutabile e spesso sordo, con le sole preghiere, emerse pian piano un uomo nuovo.

Dalla consapevolezza che nulla si risolve se credi che non puoi risolverlo, proprio da quello spartiacque che dimostrò tutta l’incapacità del “sapere” dell’epoca iniziò ad alzarsi dalle ceneri un uomo che disse no all’ineluttabile, ai rimedi approssimativi, alle magie e alla “medicina tradizionale”, alla inutile saggezza dei saggi che tutto sanno ma nulla dimostrano, alle teorie date per scontate…. L’uomo inizia a voler misurare, a voler procedere nel mondo con “metodo”, mettendo insieme fatti e riproducendoli per confermare delle regole o sconfessarle una volta per tutte. Dalla peste nera nasce l’uomo che vuol esser padrone del proprio destino, che mette in discussione tutto ciò che, evidentemente, non ha funzionato, che scalza i testi degli antichi e ne cerca di alternativi, che “studia e sperimenta” tutto, tutto ciò che non si era veramente mai indagato, dai massimi sistemi all’infinitamente piccolo.

L’uomo di Vitruvio – Leonardo da Vinci

Nasce l’uomo nuovo della rivoluzione copernicana, l’uomo consapevole di essere al centro del mondo che egli stesso produce, di cui egli possiede segreti e leggi, riduce e traduce in geometrie e formule matematiche perfette, da condividere con uomini che vogliono “comprendere” e non semplicemente obbedire. Costruisce i propri strumenti, poiché si accorse che non ne aveva, cannocchiali e microscopi, tanto per cominciare, pendoli, ingranaggi ed orologi: tutto è misurabile ed è “a misura” d’uomo, finalmente.

Non fu un caso che il quattrocento, con tutta la ricchezza che produsse, in forme scientifiche o artistiche, architettoniche o chimiche, fosse nato esattamente come nuovo frutto dalle ceneri della pandemia della peste nera. Non fu un caso che la nuova mentalità e consapevolezza nacquero contemporaneamente in molte città di tutta Europa: i nuovi studiosi si cercavano, si confrontavano, si scambiavano con ardore le nuove conoscenze, sperimentavano e diffondevano l’esito delle loro avventure intellettuali, si scrivevano, scrivevano libri che, a un certo punto, ci si dovette ingegnare di “stampare”, tanta era la richiesta. Insomma una pandemia di scambi di rinascita, incroci di synapsi violentemente assetate di nuove conoscenze, desiderio di viaggiare, di conoscere nuovi mondi. Uscire fuori dalle carcerazioni coatte imposte dai timori dei contagi: ne nacque sconfinata sete di scambi, di incroci di culture, Purtroppo anche di desiderio di conquiste (ma questo è il lato negativo della storia, quella fatta come sempre da qualche potente che piega anche le cose migliori alla sua ottusa concezione di conquista… ma tant’è, pare che anche questa sia endemica nell’umanità).

Torniamo al covid-19. Dopo questi isolamenti forzati che ha prodotto, nel nome del legittimo evitamento della morte, dopo la riduzione ad casam, ad familiam, ad focolarem, dopo i forzosi allontanamenti, le infrequentazioni, le inintimità. Dopo che, volenti o nolenti, si deve restare chiusi in casa come fossimo noi i lebbrosi, per evitare la lebbra, in questo eterno paradosso che si rinnova ad ogni epidemia, (chi è prigioniero davvero, il malato o il sano?), dopo le inadeguatezze degli ospedali e delle strutture sanitarie, nonché delle prigioni, dopo l’abbandono dei municipi e dei presidi istituzionali, dopo l’inutilità delle protezioni civili, dopo l’abbandono dei posti di lavoro e della produzione, dopo il telelavoro e lo smart job, dopo i baci e gli abbracci riscoperti fra i “noi che stiamo ancora bene” e i “perché non ce lo siamo più detto che ci vogliamo bene?”, dopo “il tempo ritrovato” insieme ai libri ai monòpoli agli scacchi e ai vecchi risiko, le ciambelle e le crostate fatte in casa, dopo le chiusure dei negozi, delle stazioni e degli aeroporti, dopo che ti senti abbandonato da quell’Europa che pure hai sentito tua, dopo che i cinesi ti regalano denari e mascherine, dopo che Trump dice che il problema non esiste e poi manda 30mila soldati senza mascherina a fare “esercitazioni” sui nostri suoli, dopo tutto questo, che società verrà fuori dalle ceneri?

Guardare al futuro

Facciamo delle ipotesi. Una nuova società dei figli dei fiori? Che resa consapevole delle futilità e delle banalità, degli egoismi e dei razzismi, tutti questi mentre il mondo brucia, finalmente si metterà davvero a studiare per trovare finalmente soluzioni? Una serissima società alla Gattaca, eugenetica ed igienista, tutta razional lavoro e casa, basta euforiche sciocchezze e discopub, paapete incluso, basta acidità e cattiverie, ipocrisie e palestre, minuti contati e sempre in moto per dimenticare che non si ha un’alternativa? O una società, per converso, totalmente dissoluta, alla Idiocracy, demente, gaudente e dimentica di tutto? Oppure, ancora, una società dove la condivisione delle conoscenze deve ripartire innanzitutto dalle conoscenze, dalla dedizione al vero migliorare il luogo in cui viviamo, equilibrata ed umana per davvero?…. Lo confesso: ho finito le banalità. Mi arrendo. E mi domando se c’è una sola, reale, possibilità che questa società sopravviva, oltre che al covid-19, anche a se stessa e al brutto e al marcio che ha prodotto. Ci vorrebbe l’uomo del rinascimento, ci vorrebbe.

M.D.D.