ovidio news
Inquinamento globale: così ci estingueremo. Un milione di specie animali e vegetali a rischio: una su otto. Inquinamento globale: così ci estingueremo. Un milione di specie animali e vegetali a rischio: una su otto.
L’Italia è il terzo consumatore mondiale di acqua in bottiglia. Il tempo stringe se vogliamo quantomeno limitare la nostra stronzaggine bisogna agire: qualcuno afferma... Inquinamento globale: così ci estingueremo. Un milione di specie animali e vegetali a rischio: una su otto.

L’Italia è il terzo consumatore mondiale di acqua in bottiglia. Il tempo stringe se vogliamo quantomeno limitare la nostra stronzaggine bisogna agire: qualcuno afferma prove alla mano che sia già troppo tardi; siamo nella parte della parabola che non sale. L’uomo inquina, spesso non sa di inquinare e si sta facendo poco e niente (politicamente) per cambiare la rotta. Oltretutto se è vero che cambiare la rotta non basta più, servirebbero leggi definitive grazie alle quali dare un determinato tempo a quelle aziende che producono inquinando, qualsiasi cosa facciano, per convertire o chiudere. Ovviamente i costi per convertire spesso sono superiori ai guadagni e quindi in mancanza di leggi vere, chi inquina continua ad inquinare. Si da primaria importanza a vantaggi presenti e non si pensa minimamente al futuro. E non parliamo da qui a cento anni ma a venti, dieci, cinque. Sono previsti danni incalcolabili a brevissimo termine, catastrofi imminenti già domani. E non ci riferiamo solo ai danni provocati cinquant’anni fa: industria bellica, centrali nucleari, produzioni sconsiderate di ogni tipo di materiale inquinante, ma soprattutto al fatto che, anche avendo perfettamente compreso la situazione nessuno al mondo sta facendo qualcosa di effettivamente utile per la risoluzione del problema. L’inquinamento è il motivo per cui l’umanità si estinguerà. Già molte specie animali e vegetali sono a rischio estinzione per l’inquinamento: un declino senza precedenti che ha portato un milione di specie animali e vegetali, ossia una su otto di quelle totalia rischio estinzione nel breve termine. L’allarme lanciato dalle Nazioni Unite sulla base di uno studio della Piattaforma intergovernativa per la biodiversità e i servizi ecosistemici (Ipbes), gruppo di esperti provenienti da 110 Paesi sui 132 dell’Onu, racconta di una situazione ambientale che non è mai stata così grave. Le responsabilità di questo costante aggravarsi delle condizioni del nostro pianeta vanno cercate, si legge nel rapporto, in tre cause principali: al primo posto, l’utilizzo che stiamo facendo di terra e mare, seguito dallo sfruttamento di piante e animali, mentre al terzo posto ci sono i cambiamenti climatici. Punti che una delegazione di esperti che ha preso parte allo studio esporrà anche al presidente francese, Emmanuel Macron, durante l’incontro in programma per lunedì pomeriggio.

Le colpe principali, quindi, vanno imputate allo sfruttamento delle risorse da parte dell’uomo. Un atteggiamento, soprattutto nel modo in cui produciamo e consumiamo il cibo, che secondo le Nazioni Unite deve subire un drastico cambio di direzione se si vogliono salvaguardare le specie viventi e le caratteristiche del pianeta: “Stiamo consumando le basi stesse delle nostre economie, i nostri mezzi di sussistenza, la sicurezza alimentare, la salute e la qualità della vita in tutto il mondo – ha spiegato Robert Watson, a capo dell’Ipbes – La salute degli ecosistemi da cui dipendiamo, come tutte le altre specie, peggiora in modo più rapido che mai. Non è troppo tardi per agire ma solo se si comincia a farlo adesso a tutti i livelli, locale e mondiale”.

Le attività umane, spiega il report, hanno “significativamente modificato” la maggior parte degli ecosistemi, sia terrestri che marini: il 40% dell’ambiente marino globale, ad esempio, mostra “gravi alterazioni” a seguito delle pressioni umane e ad essere in declino sono “ricchezza e abbondanza” dei mari di tutto il mondo.

Cosa fare nel nostro piccolo

LA BORRACCIA – L’Italia è il terzo consumatore mondiale di acqua in bottiglia dopo il Messico e la Thailandia, e abbassare la media pro capite di circa 180 bottiglie l’anno è già da solo un ottimo deterrente.

I difensori della plastica PET ne sosterranno le qualità: un materiale igienico leggero ed economico che potrebbe essere riciclato facilmente se non contaminato e, con le tecnologie più moderne, immesso in un sistema circolare che permetterebbe di non estrarre ulteriormente materie fossili. Tutto vero, ma confrontiamoci con la dura realtà: ci appoggiamo a un sistema di raccolta e riciclo che è ancora agli antipodi.

A questo aggiungiamo che, a prescindere dal ciclo finale delle bottiglie usate, il trasporto e la produzione di questi beni ne determinano una carbon footprint non trascurabile. Nello specifico, si stima che le emissioni di gas serra relative ad una sola bottiglietta di plastica da 500 ml si aggirino intorno agli 80 g di CO2.

Detto ciò, e considerando che le nostre risorse idrogeologiche non giustificano in alcun modo la presenza dell’Italia nel podio dei consumatori di bottigliette, resta a noi lo sforzo di munirci di borraccia e individuare la fonte di acqua potabile più comoda. E, piuttosto, insistere con le amministrazioni comunali affinché l’acqua del rubinetto sia effettivamente di buona qualità.

DISCHETTI STRUCCANTI RIUTILIZZABILI – Nella nostra routine mattiniera sono da tempo entrati a far parte salviette, dischetti e batuffoli di cotone—ma ci sono diverse ragioni per sostituire questi oggetti con alternative riutilizzabili e altrettanto valide. La produzione di cotone ha infatti un impatto negativo sia in termini di water footprint, che di erosione e inquinamento del suolo. Utilizzare una risorsa così costosa per l’ambiente per poi gettarla subito via è una tipica contraddizione del nostro mondo. Ne avevamo parlato anche in riferimento alle borse di cotone, sottolineando come sia importante utilizzarle al massimo per renderle effettivamente un prodotto sostenibile.

Inoltre il cotone idrofilo viene sottoposto a processi di lavorazione e sbiancamento che gli conferiscono la capacità di assorbire l’acqua ma che allo stesso tempo lo rendono inadatto allo smaltimento organico. Si tratta quindi di rifiuti non riciclabili destinati a discarica o inceneritore.

Per fortuna abbiamo delle soluzioni, dal prodursi i propri dischetti struccanti con una semplice operazione di taglia e cuci da una maglia di cotone non più utilizzabile ai dischetti di tessuto morbido lavabili in lavatrice da tempo in commercio. Molto spesso questi ultimi sono prodotti in cotone organico, che viene comunque ritenuto da molti poco sostenibile a causa della bassa efficienza di produzione che richiede più acqua e suolo, altrimenti la spugna di fibra di bambù sembra una valida scelta.

Il principio è lo stesso per tutti: sostituire una pratica ‘usa e getta’ con una soluzione lavabile e riutilizzabile centinaia di volte, come succedeva un tempo. Questo stesso discorso si presta a diverse altre tipologie di prodotto, come gli assorbenti igienici femminili, oppure i cotton fioc riutilizzabili—che invece abbiamo escluso in quanto spesso sconsigliati da medici e affini.

APEllicola – Mangiare è una necessità umana, imballare qualsiasi cosa mangiamo e conserviamo in strati e strati di plastica no. Eppure questo materiale si è fatto strada nella nostra catena alimentare, e recenti studi sembrano confermare che rischiamo di mangiare fino a circa 5g di microplastiche ogni settimana. Ci sono materiali innovativi alternativi alla plastica che possono essere usati nella distribuzione alimentare, ma cosa possiamo fare noi, nelle nostre case, per ovviare al problema?

Anche qui, ci sono sia soluzioni sempiterne che risposte nuove. Oltre a “schiscette” e barattoli, il nuovo trend del packaging sostenibile ha portato sul mercato un innovativo incarto in cotone e cera d’api. Si tratta di un involucro lavabile e riutilizzabile che a ogni uso risparmia in media ai nostri oceani un metro quadrato di pellicola di plastica o involucri usa e getta. Si presta ad avvolgere i panini da portare in ufficio o in biblioteca, o a sigillare il piatto degli avanzi usando semplicemente il calore delle mani.

Apepak ad esempio, brevettato in Italia, è fatto con cotone organico, cera d’api, resina di pino e olio di jojoba, tutti ingredienti che lo rendono antisettico e termoregolabile. L’azienda sostiene che un panno possa durare anche più di un anno se non usato a temperature troppo alte, e che la loro attività sostiene il lavoro delle api da miele di apicolture a pratica sostenibile e libere da pesticidi certificate dalla World Biodiversity Association. Altri marchi hanno sviluppato prodotti simili e l’italiana Beeopak, ad esempio, ha sostituito l’olio di jojoba con quello locale di noci.

Considerando che le api, necessarie alla sopravvivenza del nostro pianeta, sono in gravissima difficoltà, alternative del genere possono rappresentare un momento di rinascita per questa specie e per l’attività millenaria dell’apicoltura e allo stesso tempo aiutarci nel portare avanti la riduzione di rifiuti plastici.

CANNUCCE – Ormai è risaputo: l’UE ha dichiarato la guerra alla plastica e noi tutti dobbiamo iniziare la nostra battaglia nel quotidiano. Il bando, che regolamenta e vieta la plastica monouso diversamente a seconda dell’utilità, sostituibilità e inquinamento prodotto, colpisce in particolar modo il settore del food and beverage, dove gli oggetti monouso sottoposti a restrizioni di mercato sono diversi. Tra questi le cannucce, che rientrano nella top ten dei rifiuti più frequentemente trovati sulle spiagge, non sono classificate come imballaggi da riciclare a causa della forma difficilmente gestibile dai nostri impianti che non sono idonei alla selezione di oggetti piccoli e leggeri. Per la facilità con cui ostruiscono le vie respiratorie degli animali selvatici, sono diventate simbolo di inquinamento.

La prima rivale della cannuccia usa e getta comparsa sul mercato è la cannuccia riutilizzabile in bambù, acciaio o plastica rigida. Sono reperibili ovunque su internet e si trovano sempre più spesso anche nei negozi di articoli per la casa, e vengono vendute con un piccolo spazzolino che ne consente il lavaggio prima dell’utilizzo successivo.

A fianco di questa alternativa riutilizzabile però, in Italia, sono comparsi alcuni tipi di cannucce monouso a basso impatto ambientale, come Sorbos e Canù. Sorbos è una cannuccia commestibile, 23 calorie di zucchero glassato, amido di mais e acqua che possono essere assunte a conclusione della bevuta onde evitare di produrre un rifiuto (che sarebbe comunque facilmente biodegrdabile). Canù è invece una cannuccia di pasta, esistente sia nella versione classica che nella versione gluten free, creata da una cooperativa nelle Marche.

Sappiamo che bandire le cannucce di plastica non risolverà il problema dell’inquinamento, ma trovare delle alternative a un oggetto che il più delle volte non è indispensabile ci sembra il minimo. Nel frattempo il presidente degli Stati Uniti, ignorando completamente il fatto che ci sono circa 7,5 milioni di cannucce arenate sulle spiagge del paese, ha sostenuto la propria campagna elettorale proprio vendendo cannucce di plastica al grido di “make straws great again.”

Salute!

otrel