ovidio news
Il martello Il martello
Racconto breve Fabrizio Zani Corte d’Assise di Palermo. Trascrizione della deposizione resa il giorno 14 giugno 2022, alle ore 9.30, dall’imputato Calogero Licitra, nato... Il martello

Racconto breve

Fabrizio Zani

Corte d’Assise di Palermo.

Trascrizione della deposizione resa il giorno 14 giugno 2022, alle ore 9.30, dall’imputato Calogero Licitra, nato a Monreale il 20 Marzo 1940.

Su indicazione del procuratore Generale, il Licitra è invitato a esporre i fatti per i quali è accusato.

Vede signor giudice, tutta questa storia è stata una questione di sfortuna. Il controllore, pace all’anima sua, era una persona davvero sfortunata. Perché? Ora ci spiego.

Vede, vossia deve sapere che a tre fermate d’autobus da casa mia c’è il grande centro commerciale, “La Stidda”, che l’hanno costruito quasi cinque anni fa, e tutti i negozi del paese, meno che il barbiere e il panettiere hanno chiuso perché non ce la facevano proprio a star dietro a tutte le cose della Stidda, che ha sempre una cosa che costa magari la metà o che te ne danno due o anche tre se ne paghi una, e via dicendo.

Così anch’io, anche per tutti i i lavoretti che devo fare per tenere sempre perfetta la mia casetta, il pollaio, le recinzioni e tutto il resto, perché nonostante che c’ho ottant’anni e passa, faccio tutto da solo, anch’io vado sempre alla Stidda, al grande magazzino Bricò, dove trovo tutto, ma proprio tutto quello che mi serve. Il controllore dicevo era uno sfortunato. Pensi che solo due giorni prima ero stato dal Bricò e avevo comprato il nastro mericano, quello che ci ripari tutto, ma proprio tutto, una manciata di viti e un po’ di chiodi.

Ora, se la buonanima mi avesse chiesto il biglietto quel giorno, e sta minchia di lasciapassare, mi sarei magari addumato, avremmo questionato, e gli avrei dato in testa il sacchetto. Ma che ci potevo fare con un nastro e qualche vite? Una scenetta, che tutta la corriera si sarebbe giusto messa a ridere, saremmo arrivati alla fermata di casa mia, sarei sceso e buonanotte, nessuno si faceva male.

E invece, quando è che questo mi viene a rompere gli zebedei con la storia del grinpass? Proprio quel pomeriggio, erano quasi le sei e stavo tornando a casa, dopo che avevo comprato il martello da carpentiere, quello che ha una parta quadrata e l’altra con due punte, la coda di rondine si chiama, che serve a togliere dalle travi chiodi vecchi e stortati, facendo leva e piegando finché piano piano il chiodo se ne esce. Insomma, la buonanima mi chiede il biglietto, e glielo mostro, poi mi chiede il gripass, e io ci dico che non ce l’ho, e voglio spiegargli perché. ‘Vedi, comincio a spiegargli, mio nipotino Marcuzzo… ‘. Niente, come parlare al muro. ‘Non mi interessa – mi risponde – se non hai il grinpass devi scendere. La legge dice che ti devi vaccinare, e sennò fatti accompagnare da tuo figlio o da chi vuoi, ma senza vaccino sull’autobus non ci devi salire, hai capito?’

Ora, vossia deve sapere che a casa mia la sola parola vaccino crea un putiferio, che mia figlia comincia a piangere come se le stessero spaccando tutte le ossa una a una. Perché Marcuzzo, il mio nipotino che ora ha nove anni, dopo che gli fecero il vaccino contro tutte le malattie per poter andare a scuola, è rimasto scimunito, non capisce nulla di quello che gli dicono, e sta lì seduto sul pavimento a ciondolare la testa avanti e indietro e non si capisce dove guarda, che sembra sulla luna. Insomma, una tragedia, l’avvocato di mio genero ha fatto il diavolo a quattro, come si dice, e c’è stato un processo. Tutti i sapientoni e i professori, che li chiamavano periti, hanno detto che il vaccino non c’entrava niente, e chissà perché Marcuzzo era rimasto scimunito, e tutti dicevano la stessa cosa. Ma il giudice alla fine disse che lui era più perito di tutti i periti che avevano parlato, e che a lui sembrava chiaro che se dopo la vaccinazione Marcuzzo era rimasto così, disse, che ora non mi ricordo proprio la parola, un rapporto doveva esserci. Discussero un po’, gli avvocati insistevano che il vaccino non c’entrava niente, ma alla fine il giudice decise che c’entrava, e dette a mio genero cinquecentomila euro per le cure.

Insomma, signor giudice, quando la buonanima mi disse che mi dovevo vaccinare, io ho rivisto Marcuzzo seduto sul pavimento a ciondolare la testa avanti e indietro, ho rivisto mia figlia strapparsi i capelli e mio genero che sembrava diventato di marmo e mi guardava con lo spavento negli occhi.

E allora, tirai fuori il martello dal sacchetto, così com’era, e glielo detti in testa secco secco, dalla parte delle due punte. Sentii il rumore di qualcosa che si rompeva, e il sangue venne fuori tipo spumante quando gli togli il tappo, e mi sporcò anche la camicia a quadri rossa, quelle che mi regalò mia moglie Concetta per i cinquanta anni di matrimonio.

Stronzo’, gli dissi, ‘vaccinati tu’.

Lui era lì, fermo immobile, gli occhi gli si erano come spenti. Si portò lentamente le mani sulla testa, mentre sulla corriera tutti si erano azzittiti. L’autista si fermò e fece per venire verso di noi.

Io girai il martello e gli detti un’altra botta, molto più forte della prima, questa volta dalla parte quadrata. Sentii che l’osso si sfondava. Lui scivolò a terra, e mi ricordo che dissi, sempre con rispetto parlando, “vai a fare in culo, tu, il tuo grinpass e il tuo vaccino”.

Tutti i passeggeri si fecero intorno, coi loro telefonini, e facevano le fotografie del morto e del martello, che mi era caduto in terra.

Il Presidente si guarda intorno. Nell’aula è sceso il silenzio. Scambi di occhiate fra il procuratore e i giudici popolari. L’avvocato difensore fissa un punto indefinito della parete.

Presidente:
“Signor Licitra, lei si rende conto che la vittima aveva moglie e figli?”

Imputato:

Certo Giudice, lo capisco, ma a quelli ci penserà il Padreterno, a farli soffrire le pene dell’inferno fino alla settima generazione. Mia figlia e mio genero piangeranno tutta la vita, Marcuzzo, lui resterà scimunito, ma io più di questo non potevo fare. Almeno quello fetuso non andrà più in giro a dire alla gente che si deve vaccinare. Cornuto.”

Calogero Licitra trascorse in carcere due anni dei quattordici cui era stato condannato per il reato di omicidio volontario

A causa di un infarto gli venne concessa la detenzione domiciliare.
Si spense sei mesi più tardi, la notte di Natale, nel suo letto.

Marco, che aveva preso l’abitudine di sedere giorno e notte nella poltrona accanto al letto del nonno, avvertì precisamente il momento del distacco. Nessuno lo sentì, quando disse “addio nonno”. Si sa che gli autistici hanno qualità speciali.

Con il doveroso omaggio a Andrea Camilleri