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Gli Eurobond nell’Unità d’Italia: una lezione per l’oggi Gli Eurobond nell’Unità d’Italia: una lezione per l’oggi
“A Unified Italy? Sovereign Debt and Investor Scepticism“ Loreto Giovannone Il debito sovrano e lo scetticismo degli investitori, è il titolo di un interessante... Gli Eurobond nell’Unità d’Italia: una lezione per l’oggi

A Unified Italy? Sovereign Debt and Investor Scepticism

Loreto Giovannone

Il debito sovrano e lo scetticismo degli investitori, è il titolo di un interessante studio della Prof.ssa Stephanie Collet, Storica della Finanza (Leibniz Institute for Financial Research SAFE) pubblicato il 20 marzo 2012.

Nell’abstract di presentazione si domanda: Come reagiscono gli investitori all’emissione del debito sovrano comune? Questa domanda è particolarmente rilevante per quanto riguarda la crisi del debito sovrano europeo.

Collet chiarisce l’origine del materiale studiato e cosa ne emerge: Il documento studia empiricamente l’emissione del debito comune durante l’unificazione dell’Italia. Basato su un archivio di obbligazioni originali italiane, questo documento mostra l’impatto dell’unificazione dell’Italia sui prezzi delle obbligazioni.

Collet continua definendo il contenuto del suo studio: Intorno all’integrazione del debito sovrano, il documento evidenzia un sostanziale aumento del premio per il rischio per le obbligazioni a basso rendimento.

Infine chiarisce il metodo d’indagine e la conclusione: Utilizzando l’analisi del punto di interruzione e un modello di fattore dinamico bayesiano, il documento dimostra che gli investitori non hanno creduto nell’unificazione dell’Italia per circa sei anni, fino all’introduzione della tassazione comune.

Circa 10 anni fa Collet riceve incarico di studiare l’impatto della ipotesi di creazione di Eurobond per l’integrazione del debito sovrano dei singoli stati europei. Collet ritenne che l’Unità d’Italia è eccezionale per scopi accademici della ricerca perché ogni singolo Stato aveva, prima dell’unificazione, i propri legami e la propria storia con eventi non correlati agli altri stati. La graduale unificazione garantì che solo i debiti degli Stati che stavano per essere annessi fu influenzato dall’unificazione. Dal momento che l’unificazione italiana alla fine ha integrato tutti i singoli debiti sovrani, i ricercatori hanno un’opportunità unica per studiare l’impatto finanziario di integrazione del debito sovrano.

Finalmente la verità storica che in Italia (quasi) tutti nascondono. Con l’alto tasso di mistificazione della verità in Italia, da 160 anni siamo un laboratorio a cielo aperto di menzogne. Collet nel 2011 ci racconta un pezzo della nostra storia e della nostra economia in modo diretto, senza le pressioni della politica italiana. La studiosa sull’Unita italiana afferma che quel periodo è un precedente prezioso per cercare di capire come potrebbero comportarsi i mercati finanziari di fronte all’unificazione del debito pubblico dei paesi della zona euro. Come l’Italia di allora, l’Europa oggi è fatta da stati eterogenei, con economie di dimensioni e condizioni diverse, che parlano lingue diverse e hanno sistemi di imposizione fiscale separati ricorda la studiosa. Grazie al fatto che anche dopo l’unificazione i titoli del Regno d’Italia conservarono fino al 1876 l’indicazione della loro origine (per esempio, ad Anversa le emissioni del Regno delle Due Sicilie erano indicate come “Italy-Neapolitean”) la Collet è riuscita a ricostruire le serie storiche dei prezzi settimanali tra il 1847 e il 1873.

In Unified Italy?, sovereign debt investor scepticismillustra lo studio empirico sull’integrazione del debito sovrano e analizza i prezzi quando diversi paesi si uniscono per diventare un “paese unificato” o quando ne esiste la probabilità. Basato su dati originali di obbligazioni preunitarie, il documento mostra l’influenza dell’unificazione italiana sui prezzi delle obbligazioni. L’analisi mostra che durante l’unificazione, le obbligazioni emesse dai singoli stati del futuro Regno hanno reagito in modo idiosincratico. Nell’imminente integrazione del debito sovrano si evidenzia un significativo aumento del rischio per le obbligazioni a basso rendimento. Un’analisi del punto di interruzione con il modello del fattore dinamico bayesiano (il fattore di Bayes è un’alternativa al classico test di verifica d’ipotesi con modelli statistici sulla base dei dati osservati), dimostra che fino alla fine del 1860 il mercato finanziario non credeva nell’Unità d’Italia. Uno schema del contesto storico e del debito sovrano italiano porta a comprendere la forzata unificazione. Parallelamente, questa sezione è dedicata al debito sovrano preunitario, emesso dai sette Stati prima dell’unificazione. Gli eventi che si verificarono nei singoli Stati preunitari sono collegati ai rispettivi debiti sovrani. I diversi livelli di rendimento delle obbligazioni furono stabiliti dagli investitori. In questo modo, gli Stati con un elevato debito pro capite, come il Piemonte, avevano un rendimento più elevato sulle loro obbligazioni.

Stati indipendenti: andamenti finanziari indipendenti. I movimenti finanziari collegati agli eventi possono essere individuati nell’evoluzione dei rendimenti di ciascun stato. Prima dell’unificazione, la seconda guerra d’indipendenza per il Piemonte aveva determinato alti rendimenti dei titoli, ma nessun impatto negativo sarebbe ricaduto sul Regno delle Due Sicilie. Il fallimento del Piemonte non avrebbe avuto alcuna conseguenza sulle finanze del regno borbonico. Il contesto internazionale e l’enorme debito del Regno di Sardegna fanno comprendere le motivazioni dell’aggressione manu militari al Regno Due Sicilie.

Collet sostiene che il mercato finanziario noncredeva nell’Unità d’Italia fino alla fine del 1860. Bisognò attendere fino al 1868 per vedere emergere un miglioramento. Secondo il Dynamic Factor Model, gli investitori hanno iniziato a credere nell’unificazione solo dopo il 1868, dopo l’annessione dello Stato Pontificio e il controllo delle finanze di tutti i territori, sotto l’unione fiscale. Secondo la studiosa, l’ipotesi nel 2010 di emettere obbligazioni blu (i“blue” bonds dell’Economist di giovedì 23 settembre 2010) non sembra essere una soluzione per la crisi del debito sovrano europeo, senza unificazione politica, in particolare in assenza di una qualche forma di unione fiscale o tassazione comune.

Studiando l’andamento dei debiti al momento dell’Unità italiana Collet ha sancito l’uscita dalle numerose e reiterate falsità degli storici sul Regno due Sicilie forzatamente considerato arretrato, sottosviluppato,economicamente depresso. La fine di questa idea sbagliata, distorta, molto diffusa nelle regioni del nord Italia, imposta dal darwinismo sociale, dalle politiche pedagogiche, dall’Università, dai mass media tesi a costruire un Sud negativo, è avvenuta nel 2011. Ad abbattere inesorabilmente il muro di silenzi e falsità è stata la prof. Stehanie Collet, studiando gli andamenti finanziari del periodo negli archivi delle borse di Parigi ed Anversa.

La fine delle menzogne. A dare un “solenne ceffone” agli storici italiani, ceffone di cui c’è ancora eco, è stato “il Sole 24 Ore” con un articolo di Giuseppe Chiellino pubblicato il 02.07.2012. “Il Regno di Napoli prima dell’integrazione del debito sovrano1, era, come è la Germania di oggi, l’economia più forte dell’eurozona.”

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Quando il Regno di Napoli era come la Germania. Nell’articolo, pubblicato il 2 luglio 2012 ne «il Sole 24 Ore», Giuseppe Chiellino commenta lo studio della prof. Collet: Un lavoro certosino di raccolta manuale dei dati dagli archivi e dai database originali per capire come si sono mosse le quotazioni, prima e dopo l’unità, politica ed economica. 25 emissioni suddivise in quattro gruppi: Regno di Piemonte e Sardegna, Lombardo-Veneto, Due Sicilie e Stato Pontificio.

Stabilità dei tassi di rendimento per il Regno due Sicilie. Il giornalista afferma: La prima cosa che balza agli occhi è lo spread (anche allora!) tra i rendimenti dei diversi gruppi di bond prima e dopo l’Unità. Quelli del Regno delle Due Sicilie (che erano un quarto del totale) prima del 1861 pagavano i tassi più bassi: 4,3%, 140 punti base in meno delle emissioni papali e di quelle piemontesi (che rappresentavano rispettivamente il 29% e il 44% del debito unitario dopo la conversione) e 160 in meno rispetto a quelle Lombardo-Venete (che però erano solo il 2%). Insomma, a voler utilizzare le categorie di oggi, il Regno di Napoli economicamente era per l’Italia quello che oggi la Germania è per l’Eurozona. «Come il Regno di Napoli prima dell’integrazione del debito sovrano, la Germania di oggi è l’economia più forte dell’eurozona e beneficia del costo del debito più basso in assoluto» scrive Collet. Considerazioni, queste, che faranno storcere il naso a molti, ma sicuramente non di parte. Del resto, come ricorda Collet, Napoli era di gran lunga la città più importante del neonato Regno d’Italia. E le regioni del Sud avevano una discreta struttura industriale,un’agricoltura fiorente sia pure basata sul latifondismo, e importanti porti commerciali.

Merkel: «Mai finchè sarò viva».Giuseppe Chiellino riportando nel 2012 quanto affermato dalla Prof. Collet della eventuale introduzione di Eurobond: Significherebbe che, se fossero introdotti gli eurobond, la Germania perderebbe il suo rating elevato». Questo portava Collet a definire, già nei mesi scorsi, «remote» le speranze di vedere nel breve termine un mercato integrato dei titoli di debito dell’eurozona. Continua Chiellino: Il vertice europeo di fine giugno ha cancellato gli eurobond dall’agenda. Almeno per ora. Angela Merkel è stata drastica: «Mai finchè sarò viva» aveva detto in pubblico qualche giorno prima. Chissà se la cancelliera tedesca aveva avuto il tempo di leggere lo studio di Stéphanie Collet, storica della finanza della Université Libre de Bruxelles che è andata a spulciare negli archivi delle Borse di Parigi e Anversa per studiare l’unico precedente assimilabile agli Eurobond: l’unificazione del debito sovrano dei sette stati che 150 anni orsono, su iniziativa del Piemonte e sotto tutela di Francia e Inghilterra, costituirono il Regno d’Italia. Nel 1860 i finanziatori delle case bancarie con sedi in Inghilterra e Francia, in vista del fallimento del Regno di Sardegna e l’enorme indebitamento di Napoleone III, li spinsero alla guerra civile di conquista del Meridione e della rapina delle finanze del ricco Regno delle due Sicilie, fatti che gli storici salariati hanno sempre omesso non raccontando la verità storica. A distanza di 160 anni non è più l’Inghilterra ma la speculazione finanziaria con Germania e Francia a replicare, con mezzi diversi, i trattati vincolanti e meccanismi finanziari come il MES. Oggi è in atto la stessa mossa di sottrazione della ricchezza con artifici finanziari speculativi ai danni, stavolta, dell’Italia intera con un Meridione povero finanziariamente e un Settentrione ricco. È finita la menzogna del sud preunitario arretrato e sottosviluppato e mai come ora si sta verificando il detto: “Chi la fa l’aspetti”.

1 “Debito Sovrano”. Termine con cui ci si riferisce alle obbligazioni vendute dallo Stato ad altri paesi o alla liquidità “presa in prestito” da questi ultimi per soddisfare la spesa pubblica.

Loreto Giovannone