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Declinazione della solitudine. Chi è l’umano davvero solo? Declinazione della solitudine. Chi è l’umano davvero solo?
di Yari Ferrone - Psicologo clinico Yari Ferrone, psicologo clinico, specializzando in psicoterapia psicoanalitica interpersonale. Attualmente svolge la libera professione in videoseduta e telefonicamente... Declinazione della solitudine. Chi è l’umano davvero solo?
di Yari Ferrone - Psicologo clinico  

Yari Ferrone, psicologo clinico, specializzando in psicoterapia psicoanalitica interpersonale. Attualmente svolge la libera professione in videoseduta e telefonicamente offrendo servizio di supporto psicologico e psicoterapia per adulti e adolescenti.
Collabora con una struttura psichiatrica riabilitativa “Morrone” occupandosi di clinica delle psicosi, periodicamente conduce laboratori di arte sperimentale presso DLF a Sulmona e lavora come docente di psicologia e comunicazione presso un centro di formazione professionale della regione Lazio.

Quanto terrore l’esser soli oggi comporta! Quanta amarezza ed instabilità l’aver del tempo per sé può provocare! Eppure è nella dimensione della solitudine che troviamo aspetti di noi che altrimenti non avremmo avuto modo di conoscere né di avvertirne l’esistenza. Ed è per questo che sarebbe utile e doveroso promuoverne il valore, le opportunità, le potenzialità e le dimensioni psicologiche peculiari che la solitudine può celare.

Può succedere che alcune persone all’esser sole si sentano smarrite, impaurite, disorientate, come se alla base ci fosse un trauma di abbandono oppure di estrema paura della perdizione. Poi succede anche che, molto spesso in maniera sorprendente e inaspettata, la costrizione ad adattarsi apre scenari differenti. E poi le forme dell’esser soli e della solitudine come scelta oppure come reazione alle avversità di un’esistenza lievemente difficoltosa.

Hayaho Miyazaki – La città incantata

Infatti è bene tenere a mente la notevole differenza tra l’esser soli per amore della solitudine oppure per paura dell’altro e l’esser soli a causa del proprio ritiro sociale; che è una scelta, una reazione, un rifugio piuttosto presente al giorno d’oggi.
Il mondo fa paura, è indubbiamente vero, e può accadere che l’isolamento sociale rappresenti una conseguenza di tutto questo. La competizione, gli obiettivi, i traguardi, l’incontrollabilità di eventi e vissuti è ormai elemento costantemente presente.

Rupert Sanders, Masamune Shirow – Gost in the shell

Ma è ancor più importante non cadere nell’errore di pensare alla solitudine come ad una malattia, ad un sinonimo di debolezza o di sconfitta della propria esistenza perché è bene che essa venga concepita come stato dell’animo, come luogo di ritrovo con se stessi e con le parti che abilmente e difensivamente teniamo nascoste alla nostra coscienza. Perché la solitudine è anche libertà, è profondo contatto con se stessi, è il passeggiare su quella strada tutta propria e soggettivamente immaginata; solitudine è allinearsi col proprio respiro, abbracciare il proprio silenzio, decorare cupamente o allegramente la propria fantasia, trovarsi e ritrovarsi tra perdizioni necessarie e bagliori illuminanti.

Stanilav Plutenko – Running time

É la voce senza voce, il nido in cui rifugiarsi nel momento del bisogno, il consiglio che ci occorre quando siamo in preda all’indecisionalità che non sempre si sopporta e che ci costringe a fare i conti con conflitti e avversità.
È curioso, tra vita privata ed attività professionale, mettere a confronto persone in posizione di ritiro solitario che, a ben vedere l’andamento della società, in realtà, oltre alla paura sembrerebbero attivare una sana strategia difensiva così da non cadere nella trappola. E magicamente e silenziosamente funzionano a dovere. Perché nel silenzio e nel ritiro, non sempre patologico, la dimensione della solitudine può rappresentare proprio tutto ciò che ci fa sentire a contatto col mondo che condividiamo, nel mondo in cui transitiamo.

Claudio Castellini – Silver Surfer

Jim Morrison la descriveva come quell’ascoltare il vento e non poterlo raccontare a nessuno, come a dire che nella solitudine ci sono cose e questioni uniche ed irripetibili, momenti d’intimità che nel kaos delle vite che viviamo diventano respiri di sollievo, aria pura e curativa delle nevrosi del nostro tempo. Se pensiamo anche alle innumerevoli pratiche di meditazione che al giorno d’oggi sembrerebbero ben rappresentare una necessità del collettivo che lamenta sempre più la stanchezza del peso che la società richiede di sostenere, ecco che il valore dello “stare con se stessi e il proprio corpo” acquisisce importanza in un’ottica di disintossicazione dalla questioni che ci sovrastano.

Stanislav Plutenko – Christ in desert

L’arte di esser soli è il contatto con la propria natura, è un adagiarsi nella ricerca della propria atarassia, per riposarsi, scoprire e riscoprirsi, concedersi a se stessi; conoscersi! E ancora la solitudine come possibile abitacolo della propria privacy emozionale e sentimentale, come eterno ritorno nel luogo della resocontazione del proprio esistere, come atto del saper stare in quell’ipotetica angoscia che cattura o che viene catturata dalle attenzioni inconsapevoli dell‘inconscio.

Stanilav Plutenko – The cubic dream

Ovidio asseriva ciò: “Finché sarai fortunato, conterai molti amici, se ci saranno nubi sarai solo!”. Perché immersi nelle nubi si è costretti a vivere senza vedere, e quindi a scoprire ciò che chiarezza ed apparente limpidezza molto spesso non ci consentono di osservare. “Ora che ho perso la vista ci vedo di più”, uno dei versi dei Dream Theather, gruppo musicale statunitense, intonato nella canzone –Take the time-, che ci ribadisce quella vitale importanza di prendersi del tempo per se stessi.

Stanilav Plutenko – My childhood dream

E ancora con Fabrizio de André secondo cui la solitudine può portare a forme di straordinaria libertà, proprio come ci dimostra Miguel De Cervantes, il quale scrisse il Don Chisciotte de la Mancia mentre era recluso in una prigione saracena. E a tal proposito, una sua frase tratta dallo stesso libro: Yo nací libre y para vivir libre, escogí la soledada de los campos (nacqui libero e, per vivere da uomo libero, scelsi la solitudine dei campi)

Salvador Dalì – Don Chishotte

Se invece, al contrario, pensiamo a chi la rifiuta e la ripudia in maniera totalizzante e indiscutibile come possibile esperienza, assicurandosi di essere sempre circondato, spesso spiacevolmente, da qualcuno che gli stia costantemente al fianco, allora verrebbe ragionevolmente da chiedersi;  chi è davvero solo, chi elemosina conoscenze e vicinanze senza limiti né fondo, finendo nel vivere sempre con l’altro al proprio fianco da cui si dipende e la cui presenza si pretende, oppure chi, quando solo se ne sta prova un sentimento di vicinanza con se stesso e il mondo intero?

Stanilav Plutenko – Above


Dott. Yari Ferrone

Studio: Sulmona – L’Aquila
tel. 340.7722712
email: yari.ferrone@hotmail.it