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“Assedio e distruzione di Sulmona” (1460 – 2020: corsi e ricorsi storici) “Assedio e distruzione di Sulmona” (1460 – 2020: corsi e ricorsi storici)
Jowe Tout Burlow Correva l’anno di grazia 1460, nel settembre un’aria foriera di sventura gravava sulla nostra Città, già fiaccata da condizioni di decadenza... “Assedio e distruzione di Sulmona” (1460 – 2020: corsi e ricorsi storici)

Jowe Tout Burlow

Correva l’anno di grazia 1460, nel settembre un’aria foriera di sventura gravava sulla nostra Città, già fiaccata da condizioni di decadenza economica e di declino politico.

Dopo la morte di re Alfonso, Sulmona entrò nell’alveo del dominio di Ferrante d’Aragona, in guerra contro Giovanni d’Angiò.

L’angioino spedì in città il luogotenente Jacopo Piccinino e l’orda del capitano di ventura si avvicinò minacciosa alla cinta muraria, bloccando le vie d’uscita e di accesso e inibendo ogni possibilità di approvvigionamento.

La citta fu cinta d’assedio ma, prendendo a prestito le parole di Sardi de’ Letto, “….i sulmonesi risposero con la resistenza e i petti”, compiendo atti di eroismo.

Sardi de Letto precisa, al riguardo, che la circostanza segnò “per i sulmonesi un periodo appassionatamente eroico: le classi della popolazione si fusero nel pericolo e nell’ansia comuni, si razionarono i viveri, posero a riparo le donne, i vecchi, i bambini e gli ammalati, e gli uomini validi si calcificarono nelle mura di cinta, ed all’offesa risposero con la resistenza e i petti”.

L’assedio si protrasse per sette mesi, all’esito dei quali il Piccinino si abbandonò a saccheggi e distruzioni.

Il Faraglia riferisce che l’orda del capitano di ventura “recise gli alberi, sradicò le viti, arse i casolari”.

L’assediante non lasciava confidare in una rapida soluzione dell’invasione in quanto, essendo prezzolato, aveva interessa a diluire i tempi dell’assedio.

Le compagnie d’arme al comando di Piccinino erano muniti di bombarde e possedevano la pazienza di chi aspetta che il tempo compia l’opera; i sulmonesi non erano armati di bombarde, ma avevano l’ardore tipico dei difensori.

I vari assedianti si acquartierarono nei dintorni di Sulmona: il Piccinino distrusse tutti i castelli e stabilì il suo quartier generale a Pentima (l’odierna Corfinio); il duca Giovanni d’Angiò a Pratola Peligna; Restaino e Giovanni Antonio Caldora nel loro castello di Pacentro.

I sulmonesi sperarono, inanemente, nell’aiuto di Papa Pio II e di Re Ferdinando, che avevano inviato uomini in soccorso ma alcune fonti paventano il dubbio che i condottieri alla guida delle truppe strinsero accordi con gli occupanti.

Per Sulmona fu un disastro: la maggior parte della popolazione perì, non a causa d’armi, ma per il freddo e la fame.

Quando un manipolo di ardimentosi tentò di guadagnare le linee di fuga alla ricerca di cibo, fu catturato ed impiccato e gli assedianti esposero, quale monito per i cittadini costretti entro la cinta muraria, i cadaveri penzolanti.

Morirono, per primi e a causa di inedia, vecchi e bambini.

Il 13 agosto del 1464, il Piccinino sposò Drusiana, figlia naturale del duca Francesco Sforza, regalandole Sulmona quale dono di nozze.

Per accrescere il suo potere, Piccinino tentò la riappacificazione con Re Ferrante, emblematicamente definito da Faraglia “re senza fede” poiché “non aveva soccorso la sua città”; il re, in un primo momento, conferì al capitano di ventura la signoria di Sulmona e, successivamente, mise fine ai suoi giorni ordinandone lo strangolamento.

Se si volesse trasporre ai giorni nostri e riproporre vichianamente gli eventi dell’assedio del XV secolo, non sarebbe difficile, senza particolari iperboli fantastiche, trovare elementi di affinità alle vicissitudini, parimenti sciagurate, dell’epoca nostra.

Da tempo, orde di avventurieri che si caratterizzano per spregiudicatezza e sfrontatezza tengono in ostaggio la nostra città, esercitando un dominio unicamente mirato alle loro esigenze personali, del tutto aliene all’interesse generale dei consociati.

Tuttavia, i sulmonesi appaiono privi dell’ardore dei loro antenati ed assistono con rassegnazione alle scorribande dei novelli Piccinino.

Come all’epoca dell’assedio, Sulmona non può confidare in aiuti esterni, a causa di una scellerata politica autoreferenziale, condotta senza alcuna reale capacità di guida, che l’ha completamente allontanata dai contesti decisionali provinciali, regionali e nazionali.

Diversamente dall’evocato passato, non si muore di freddo ma, come allora, incombe inesorabilmente il rischio di morire di fame a causa di una paurosa crisi economica che ha totalmente svilito il tessuto produttivo della città.

Si prefigurano insediamenti (centrale SNAM e metanodotto) che segneranno danni gravissimi alla qualità della vita degli abitanti e al patrimonio naturalistico dell’area, con implicazioni dirette e devastanti sulla salute della popolazione.

Sulmona, al tempo assediata dalla soldataglia reclutata per vile denaro, è diventata il ricettacolo di tonnellate di rifiuti provenienti da altre città, senza un’analisi attenta e accurata del nocumento arrecato al benessere fisico dei cittadini, in primo luogo di quelli che vivono nell’area contigua all’impianto di trattamento dei rifiuti.

La popolazione del XV secolo, insidiata dal nemico, subì gli stenti della fame e un calo ponderale.

Nella odierna realtà, è la città complessivamente intesa che deperisce, perdendo progressivamente ed ineluttabilmente popolazione, mentre stenta nel trovare difensori in grado di rappresentarne le buone ragioni, al punto tale che uffici di primaria rilevanza per la vita della comunità (tribunale e ospedale) subiscono continue aggressioni e spoliazioni.

Oggi come allora, prendendo a prestito le parole di Sardi de Letto, la responsabilità del disastro è da attribuire alla “razzumaglia”, prioritariamente indicata in una classe politica (si fa per dire) che mira unicamente al soddisfacimento delle proprie voluttà, che è disposta agli accordi più spregiudicati pur di perpetuare il proprio meschino potere e che proietta all’esterno l’immagine di una Sulmona sempre più isolata, umiliata e indifesa, in preda alle scorrerie di novelli capitani di ventura.

L’unica alterità che sembra ricorrere tra l’assedio del 1460 e quello dei giorni nostri è la seguente: allora i carnefici dei sulmonesi stavano fuori le mura, oggi sono all’interno.

Mr. Jouwe Tout Burlow