ovidio news
Art. 53: uso legittimo delle armi Art. 53: uso legittimo delle armi
Racconto breve di Fabrizio Zani Il brigadiere della Polizia di Stato Angelo Caputo sedeva comodamente al tavolino del baretto della periferia romana. Marcella, la... Art. 53: uso legittimo delle armi

Racconto breve di Fabrizio Zani

Il brigadiere della Polizia di Stato Angelo Caputo sedeva comodamente al tavolino del baretto della periferia romana. Marcella, la giovane e graziosa cameriera sempre in servizio a quell’ora di mattina, gli aveva portato il vassoio col cappuccino, l’acqua minerale, ma soprattutto il maritozzo. Angelo pregustava il momento in cui l’avrebbe generosamente inzuppato, dopo aver leccato un po’ dell’abbondante crema, per poi addentarlo e farlo sciogliere in bocca: perché di maritozzi come quello non c’era uguale, in tutta Roma.

Il baretto era pieno, i sei tavolini tutti occupati, quasi tutte facce note, impiegati delle poste e della banca Popolare, che in perfetto stile romano saltavano fuori dai loro uffici a metà mattina per una ricca seconda colazione. Angelo invece si era alzato tardi, sarebbe montato in servizio solo nel primo pomeriggio, e aveva proprio l’intenzione di non fare assolutamente nulla fino a quell’ora. Avrebbe bighellonato per le strade del quartiere, sempre però con l’occhio vigile a cogliere qualche sfumatura, qualche atteggiamento, qualcosa, insomma, che potesse rivelarsi utile nel suo lavoro.

Il mio lavoro’, pensò, e come spesso gli accadeva come un brivido di soddisfazione gli percorse la schiena. Dopo la passeggiata sarebbe rientrato a casa, e avrebbe cercato su Netflix un bel film di azione, uno di quelli in cui il poliziotto è l’eroe, e cattura spacciatori, rapitori e banditi di ogni fatta.

Il mio lavoro… è proprio questo. Io proteggo tutta questa gente dai balordi e dai ladri. Io faccio rispettare la legge. Io rischio la vita… ogni giorno una carogna può saltar fuori da dietro un angolo e piazzarmi una pallottola in testa o nel cuore’.

Il pensiero gli andò a un collega, Mariani, che come lui oggi, aveva solo trentaquattro anni quando si era beccato un raffica di M12 (perché questa carogne hanno anche le stesse nostre armi) che l’aveva praticamente tagliato in due. Mariani, Mariani era un bravo ragazzo e non doveva morire così.

Assorto, Angelo sentiva giungere in maniera intermittente le voci del bar. Frasi smozzicate, parole slegate, risate, colpi di tosse. Ma in tutto questo rumore, a un certo momento una voce cominciò ad arrivargli più definita delle altre. Si voltò leggermente e vide che a parlare era un ragazzo sui vent’anni o poco più. Biondo, vestito abbastanza elegantemente, jeans e giubbetto firmati, cappellino levi’s, sciarpetta di cashemire. Gli ricordò immediatamente Roberto, il figlio di sua sorella, il nipote preferito dello zio preferito, quello della partita della Lazio vista insieme in curva, cantando a squarciagola. “Avanti ragazzi di Buda…” che sì, la curva Nord era un po’ fascista, e Roberto l’avevano pure fermato un paio di volte… ma pazienza, in fondo era tutto un gioco, no?

La voce stava dicendo qualcosa che gi risuonò subito, facendo scattare un campanello d’allarme. “Nun ce posso crede. Ma vero che hai scordato il borsone coi giubbotti?”

La risposta arrivò un po’ confusa e mischiata al rumore del bar. “… scusate…per tera, due borsoni… sbagliato… tuta e scarpe da calcetto”.

“Vabbeh, la prima volta, sei emozionato. Ma nun potemo entrà senza giubbotti, se arriveno le guardie è un suicidio, quelli sparano cosa ti credi?”

Il cuore sobbalzò nel petto di Angelo. Dunque, i giubbotti dimenticati erano giubbotti antiproiettile. Quei ragazzi stavano per fare una rapina. Alla Banca popolare, certo, lì a due passi.

Non si azzardò a guardarli, non voleva che pensassero di essere stati ascoltati.

Finì il suo maritozzo, e intanto rifletteva. Tre ragazzi, sui vent’anni. Per uno la prima volta, si scordavano i giubbotti. Non che fossero sta grande banda di rapinatori.

Ma erano pur sempre in tre, e scartò subito l’idea di affrontarli da solo.

“Vabbeh, dai, sono solo le undici meno un quarto, vai col vespone che ti aspettiamo”.

Angelo, lentamente si avviò verso la cassa e lo vide uscire, un tipo atletico, magro e alto almeno un metro e novanta. Al tavolo, seduto davanti a un cappuccino il terzo ragazzo, capelli neri, ricci, occhialetti leggeri, sembrava uno studentello del liceo.

Entrò in un androne e chiamò subito il commissariato di zona.

“Ciao Paoletti, sono Caputo”

“Brigadiere mi dica”

“Tre ragazzi, tre balordi, stanno per rapinare una banca, credo la banca Popolare di Via Meucci. Li ho sentiti parlare fra di loro nel baretto di Marcello”

“Cazzo, ti passo subito l’anticrimine”

“Sbrigati”

“Anticrimine, mi dica”

“Emergenza. Sono il brigadiere Caputo, commissariato San Pio IX. Ho sentito parlare dei ragazzi, stanno preparando una rapina alla Banca Popolare di Via Meucci. Sono dentro un bar, hanno un intoppo e non potranno far nulla almeno per una ventina di minuti. Possiamo fermarli direttamente nel bar”

“Un attimo”

“Caputo, ciao sono Arrigoni”
“Ispettore, dei ragazzi stanno per fare una rapina…. “

“Ragazzi?…”

“Sì, sì, non fanno sessant’anni in tre. Stanno aspettando uno di loro che è andato a prendere i giubbotti antiproiettile”

“Cazzo, messi bene però…”

“Sì, ma sono alle prime armi. Tre agenti nel bar li disarmano in quattro e quattrotto”

“Bene, ora è affar mio. Tu limitati a tener d’occhio l’ingresso del bar, se si muovono avvisami subito”

“Arrigoni, senta il commissariato è a 400 metri, mandate tre agenti da lì, con me siamo in quattro, loro sono in due, il terzo arriverà che questi sono già bloccati, nessuno opporrà resistenza, una cosa da nulla, una pensata rapina….”

“Caputo, ti ho detto che ora è affare dell’anticrimine. Stattene buono lì che arriviamo”

Caputo chiuse il cellulare, e dall’androne tenne d’occhio il bar.

Per una decina di minuti non successe nulla. Poi vide spuntare da una traversa una pattuglia in borghese, un’Alfa che ci mancava solo un lampeggiante e una scritta “semo guardie”. Si posteggiò poco distante dalla banca. Dopo due minuti una Golf bianca con tre a bordo. Riconobbe l’ispettore Arrigoni. “bene, pensò, in sei li fermano solo con un’occhiataccia”… e il terzo, il più giovane, col suo borsone, non era ancora arrivato.

Allora, cosa aspettate”? I minuti passavano e nessuno si muoveva.

Uno scooter si fermò davanti al bar. Il ragazzo scese col suo borsone.

Nessuno scendeva dalle due auto civetta, e un brutto pensiero attraversò la mente di Angelo.

Passarono altri cinque minuti, e i ragazzi uscirono, sembrava fossero ingrassati di dieci chili, coi giubbotti antiproiettile sotto i giubbettini firmati. Non fecero caso all’Alfa né alla Golf. Si avviarono verso l’uscita di emergenza della banca, che qualcuno aprì dall’interno, facendo scattare immediatamente la sirena dell’allarme.

Entrarono. Dopo neppure due minuti uscirono di corsa, dalla stessa porta.

La testa dello spilungone esplose al primo colpo sparato da qualcuno nascosto dietro le auto… Il biondino allora cercò di tuffarsi al riparo di un furgoncino, mentre il riccetto buttò il mitra che teneva in pugno e urlò: “E’ finto è finto, non sparate”. E furono le sue ultime parole, una raffica lo segò a metà, con tutto il giubbotto antiproiettile. Il biondino, da terra, urlò, anche lui. “Sono armi giocattolo sono armi giocattolo”… E lanciò lontano il mitra.

Arrigoni gli si avvicinò, gli tirò un poderoso calcio in faccia. Poi si chinò a raccogliere l’arma, la sollevò per mostrarla ai colleghi. “Una cazzo di Skorpio da collezione”, disse, e scoppiò in una risata. Ma nessuno lo seguì.

Scese un silenzio irreale. Angelo uscì dall’androne. “Bel casino avete fatto – disse rivolto all’ispettore – due morti ammazzati, per nulla, due ragazzetti”. Ma si sentì appena perché faceva fatica a tirar fuori la voce.

“Beh? Che cazzo vuoi? Abbiamo fatto uso legittimo della armi, articolo 53 del Codice Penale. Questi stronzi… le rapine con le armi finte? E noi che minchia ne sappiamo, eh? E mettete le manette a questa testa di cazzo – indicò il biondino steso a terra, svenuto – forza, e chiamate un’ambulanza”.

Angelo rientrò nel bar. “Un cognac”, chiese. Ma faceva fatica a tirar fuori la voce.