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Arrivederci Franco Arrivederci Franco
So che questo è l’articolo più inutile del mondo, dato che in questo momento migliaia di giornalisti staranno tirando fuori il loro coccodrillo dalla... Arrivederci Franco

So che questo è l’articolo più inutile del mondo, dato che in questo momento migliaia di giornalisti staranno tirando fuori il loro coccodrillo dalla cartella “Battiato_Franco”.

Ma non mi importa, non importa neppure se a leggere saranno magari in pochi.

Il fatto è che fra tutti gli omaggi che la memoria di Franco Battiato riceverà oggi e nei giorni a venire, gli farà piacere che ci sia anche il mio, lo so.

Da quando, al Ciak di Milano, tour “Patriots”, alla fine del 1980, andai sotto al palco per dirgli “Franco, speriamo che finisca presto il Kali Yuga”, frase a cui lui non solo non rispose, ma restò a guardare fisso davanti a sé senza dar cenno di avermi ascoltato, da allora, dicevo, per me è stata come una conoscenza personale, che andava oltre l’ascolto della sua musica e delle sue canzoni. Franco Battiato, un amico che mi ha dato per anni consigli non richiesti, che aveva letto le stesse cose che avevo letto io, da Guénon a Marcuse, da Gurdjeff a Ouspenskj a Jung… e che non si era fermato alle letture, attingendo a livelli di conoscenza sconosciuti ai più, e certo anche a me.

Sentendo, in qualche modo a me ancora ignoto, le cose che sto pensando e poi scrivendo, Franco è contento, perché adesso sa i modi rocamboleschi con cui andavo a sentire i suoi concerti (Firenze, Torino, Roma) negli anni ‘80 -’83, quando rischiavo l’iradiddio pur di non perderli. E poi gli anni per me più leggeri, quelli dell’Imboscata e dei 10 Stratagemmi, a Faenza, a Ravenna, per seguire dal vivo le sue nuove tappe musicali ed esistenziali.

E’ pur vero, Franco, che potevamo sembrare stupide galline, lì ad azzuffarci per niente, ma questo ‘niente’ è stata la nostra musica, la nostra via di fuga dalla mediocrità, da quel secolo saturo di parassiti senza dignità. Per essere ‘i’ migliori in un modo assurdo, ma per certi versi insuperabile. Perché “la via del guerriero”, per me, è stata questo. La buona guerra che fa santa la causa, e non la buona causa che fa santa la guerra. Ed è con malcelata soddisfazione che ora sto pensando, e scrivendo, che come te già 40 anni fa avevo capito benissimo che le barricate in piazza le facevano per conto della borghesia, che crea falsi miti di progresso. L’avevo capito grazie al barone Julius, siciliano come te, ma sentirtelo cantare, e sentirti sperare nel ritorno del cinghiale bianco fu la scoperta di non essere solo, fu l’uscita dal ghetto… anche se a capire eravamo in tutto in… due o tre. Due o tre lucciole nelle tenebre.

Dicono che avevi l’Alzheimer, e sarà pure vero. Ma io ricordo un’intervista in cui parlavi delle tue avventure fuori dal corpo e di come tu avessi, alcune volte, “rischiato grosso”-

Mi piace pensare, vero o no, che una volta tu abbia osato troppo: altro che Alzheimer.

E quindi oggi, per quel che mi riguarda, non sei morto tu, ma solo il simulacro che avevi lasciato in eredità, una fotocopia sbiadita del tuo essere nel mondo, o se vuoi, un’eco lontana e pure distorta del tuo “suono”.

Mi ricordo bene, in questo mondo mortale tu avresti voluto lasciare proprio questo: il tuo “suono”.

L’intervistatrice ti chiese; “Cioè, la sua musica, le sue canzoni”?

Per questo ti farà piacere ascoltare questo arrivederci, il mio. Non avrei equivocato.

E oggi posso sentire, vedere e toccare il tuo suono.

F. Z.