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Andreas Gross: cos’è veramente la Democrazia Diretta? Andreas Gross: cos’è veramente la Democrazia Diretta?
In questi giorni si fa un gran parlare di democrazia diretta, ma nessun commentatore politico ha provato a spiegarci cosa questa sia veramente, tanto... Andreas Gross: cos’è veramente la Democrazia Diretta?

In questi giorni si fa un gran parlare di democrazia diretta, ma nessun commentatore politico ha provato a spiegarci cosa questa sia veramente, tanto meno quali risultati produca là dove è praticata, come nei cantoni della vicina Svizzera. Ospitiamo qui un breve saggio di Andreas Gross, uomo politico e studioso, osservatore per conto delle istituzioni internazionale dei processi elettorali.

Sviluppare la creatività e l’impegno politico dei cittadini

Se un giovanotto di 18 anni fosse stato scoperto come gran talento di calcio, ma invece di giocare potesse solo una volta la settimana scegliersi quale partita vedere da spettatore guardando giocatori perlopiù meno bravi di lui, sarebbe un’esperienza frustrante per lui, e il calcio locale lascerebbe rattrappire un gran potenziale sportivo.

Lo stesso vale oggi per gran parte dei cittadini in Italia e in tanti altri paesi. Tanti cittadini sono politicamente ben preparati, ben informati, sanno valutare gli sviluppi politici, possono farsi un’opinione fondata e vorrebbero collaborare su problemi politici. Però, non volendosi aggregare ad un partito si sentono esclusi dall’attività politica quotidiana. Ogni 5 anni possono scegliere fra un numero molto limitato di partiti, gruppi con responsabilità limitata per la realizzazione delle promesse fatte prima delle elezioni. Fra due scadenze elettorali, momenti di democrazia rari ed effimeri, si decide solo di loro, mai con loro. Questo per il cittadino singolo è frustrante, lo esclude dalla vita politica, limita processi politici di apprendimento individuali e collettivi. Non permette alla società di realizzare quel potenziale di creatività ed impegno politico libero presente in ogni società. Le conseguenze sono fatali. Ai cittadini, che già a livello regionale e nazionale si sentono esclusi o non valorizzati dalla democrazia, mancherà la forza e la voglia di confrontarsi attivamente con le grandi sfide democratiche dei prossimi 20 anni: l’istituzione di un sistema democratico anche a livello transnazionale, in due parole una Costituzione europea.

Un’arringa per più diritti referendari in mano ai cittadini non è mai un’arringa contro la democrazia rappresentativa. Questo sarebbe un grande equivoco, spesso volutamente spacciato nel dibattito politico. Elementi di democrazia diretta rendono la democrazia diretta ancora più rappresentativa, siccome i deputati di questo modo conoscono meglio chi rappresentano, cosa pensano e preferiscono i cittadini che essi sono chiamati a rappresentare.

La democrazia diretta, inoltre, non va confusa con una democrazia plebiscitaria, come capita spesso per screditare i diritti referendari istituzionalizzati. Infatti, c’è una differenza essenziale: nella democrazia diretta abbiamo una minoranza qualificata di cittadini (a Zurigo meno dell’1 percento degli aventi diritto al voto, in Svizzera in generale fra l’1 e il 2 percento, in California con i suoi 39,5 milioni di abitanti tra il 3 e 5 percento) ha il diritto di portare al voto popolare delle leggi o modifiche della Costituzione decisi dal Parlamento, e inoltre possono presentare anche delle proprie proposte di legge ordinaria e costituzionale. In un sistema dotato di votazioni plebiscitarie questi diritti spettano solo a qualche organo istituzionale: in Francia al presidente della repubblica, in Australia al Parlamento, in Danimarca la Costituzione prevede in forma tassativa su quali questioni i cittadini devono essere consultati. Infine, in sistemi dittatoriali i dittatori quali Napoleone III, Hitler, Pinochet e via dicendo si sono appropriati di questo privilegio per procurarsi qualche legittimità che non avevano in base al consenso di un Parlamento democraticamente eletto.

Elementi plebiscitari di regola non sono molto democratici e non fanno altro che completare un sistema di governo autoritario. Diritti di democrazia diretta, per contro, sono diritti che integrano la democrazia rappresentativa, che aumentano la libertà di azione dei cittadini, che smonopolizzano le decisioni politiche, che distribuiscono parte del potere politico e trasformano profondamente la cultura politica. È decisivo che una minoranza di cittadini possa richiedere tale tipo di votazione popolare ad ogni momento seguendo l’iter previsto, cioè il diritto di interpellare tutti quanti i cittadini su una questione o norma specifica, prima che questa entrasse in vigore come norma giuridica. In Italia non esiste questo diritto (tranne nel caso molto specifico di un emendamento alla Costituzione non approvato da almeno i due terzi del Parlamento) né esiste l’iniziativa popolare con votazione popolare. I cittadini italiani con 50.000 firme possono presentare una a proposta di legge di iniziativa popolare, ma questo atto ha il carattere di petizione. I promotori, qualora il Parlamento bocciasse la loro proposta, non hanno il diritto di chiedere la votazione popolare.

È questo il perno per trasformare la cultura politica, cioè il diritto di un numero minoritario di cittadini di poter rivolgersi all’insieme dei cittadini con un quesito preciso e specifico. È la democrazia diretta che prevede questo diritto che permette alle minoranze politiche di articolarsi con proposte proprie. Possono porre delle questioni sull’ordine del giorno pubblico che altrimenti sarebbero ignorate o passate sotto silenzio. Ciò trasforma anche la struttura dei media e lo stesso dibattito politico. Se tutti hanno voce in politica, tutti devono sentirsi interessati e presi sul serio. Perché democrazia non significa solo il diritto di poter articolare un’opinione, ma dovrebbe anche consentire che una proposta seria venga sentita, discussa, presa in considerazione. La democrazia diretta riduce le gerarchie perché aumenta le possibilità di azione politica vincolante dei cittadini. Siccome sono molto più persone ad attivarsi sul piano politico, c’è più dibattito pubblico su tante questioni diverse e in tanti posti diversi. E questo fa sì che molto più persone possano informarsi, capire e partecipare. Quindi è giustificato affermare che una società con democrazia diretta può sviluppare meglio il suo potenziale politico rispetto un sistema politico in cui comandano solo i politici. Sappiamo tutti che è proprio questa la sfida se vogliamo creare una società in formazione permanente con una democrazia più partecipata.

Dall’esperienza svizzera con la democrazia diretta dal 1866 in poi è emerso proprio questo: chi considera la democrazia diretta come democratizzazione della democrazia, deve prestare molta attenzione al suo regolamento concreto sott il profilo istituzionale e procedurale. A differenza del regolamento attualmente vigente in Italia il numero di firme da raccogliere deve essere contenuto e le modalità di raccolta devono essere semplici. Dev’esserci abbastanza tempo, e anche l’amministrazione e il Parlamento devono avere tempo sufficiente per riflessioni e trattative. Non devono esserci né quorum partecipativi né quorum approvativi perché questi ostacolano decisamente le finalità comunicative della democrazia diretta. I risultati delle votazioni referendari vanno poi applicati, non aggirati o semplicemente smontati da delibere e modifiche e approvate con maggioranza semplice nel Parlamento, senza neanche avere a disposizione il referendum confermativo, come è il caso in Italia.

Del resto gli italiani interessati nella democrazia diretta non dovrebbero farsi trarre in inganno dalle esperienze svizzere. In Italia la Corte costituzionale giocherà sempre un ruolo molto più importante rispetto la situazione in Svizzera. La tutela dei diritti fondamentali sarebbe comunque assolutamente garantita. L’Italia poi vanta già una certa esperienza con i diritti referendari a livello nazionale, benché questa prassi fosse limitata alla solo forma del referendum abrogativo. Inoltre, non si dimentichi: le decisioni prese con la democrazia diretta sono come uno specchio della società, e lo specchio non è responsabile per il viso che riflette. Società diverse l’uno dall’altra, avvalendosi degli stessi diritti referendari, faranno emergere dei risultati diversi. Contano due argomenti: la democrazia diretta è un valore in sé a prescindere dai risultati, perché trasforma il carattere della politica. Con una democrazia diretta funzionante bisogna argomentare di più, bisogna convincere di più, non si può ordinare tutto dall’alto e molto meno cittadini si sentiranno alienati dalla politica. La democrazia diretta rispetto la democrazia solo rappresentativa fa sì che i cittadini possano riappropriarsi un pezzo di sovranità e possano riacquistare la voglia e il piacere dell’impegno politico. È questo che conta, che sta alla base di una democrazia viva e partecipata.

Andreas Gross è un politologo e politico (Partito Socialista) svizzero e uno dei ricercatori e pubblicisti più prestigiosi in tema di democrazia diretta a livello internazionale. Ha lavorato nelle università di Berna e Lausanne e nel 1989 a Zurigo ha fondato l’Istituto per la democrazia diretta, nel 1998 ribattezzato Atelier pour la Démocratie Directe, con sede a Saint-Ursanne (Canton Giura).