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5G: le radiofrequenze danneggiano il DNA 5G: le radiofrequenze danneggiano il DNA
Numerosi studi hanno rilevato danni al DNA indotti dalle RF 5G: le radiofrequenze danneggiano il DNA

Le radiofrequenze sono classificate tra le radiazioni che non hanno sufficiente energia per danneggiare direttamente le macromolecole, ma già negli anni ’90 è stata evidenziata la loro capacità di rompere il DNA anche a livelli non termici di esposizione [Lai & Singh 1996].

Da allora, numerosi studi hanno rilevato danni al DNA indotti dalle RF. In una review effettuata su 101 articoli, il professor Ruediger, dell’università di Vienna, conclude: “esiste un’ampia evidenza che i CEM/RF possono alterare il materiale genetico, indurre la formazione di radicali liberi e interagire con i meccanismi di riparazione del DNA” [Ruediger 2009].

Uno studio russo paragona gli effetti citotossici e genotossici del plutonio 239 alfa a quelli della radiazione GSM 900 MHz di un telefono cellulare (modello Sony Ericsson K550 i). In entrambi i casi, si rileva attività clastogenica (rottura o anomalia dei cromosomi) e aneugenica (perdita di uno o più cromosomi), dopo tre ore di esposizione. Tutti gli effetti sono significativamente maggiori dopo nove ore di esposizione [Pesnya & Romanovsky 2013].

Il National Toxicology Program (NTP), ente federale statunitense che afferisce al NIEHS (National Institute for Environmental Health Science), ha di recente pubblicato i risultati sulla genotossicità delle radiazioni a RF dei telefoni mobili nei ratti e nei topi (maschi e femmine), in seguito ad esposizione subcronica. I risultati evidenziano che l’esposizione alle RF è associata ad un incremento dei danni al DNA (Comet assey) dopo 19 settimane nei ratti e 14 settimane nei topi [Smith-Roe et al. 2020]. Il Comet assey (test della cometa o elettroforesi su singola cellula) è un test di mutagenesi per l’identificazione di danni al DNA cellulare, comunemente utilizzato per esaminare alterazioni genetiche e cromosomiali a livello cellulare.

In uno studio condotto da Panagopoulos e descritto nell’articolo “Danno cromosomico in cellule umane indotto da telefoni cellulari UMTS”, i campioni di sangue di sei donatori sani (non fumatori, maschi e femmine, età compresa tra 28 e 42 anni e che usavano il cellulare per circa 30’ al giorno) sono stati irradiati per quindici minuti in modalità “talk” alle radiazioni di un cellulare di 3a generazione (UMTS) collocato a un centimetro di distanza. I linfociti esposti evidenziano aberrazioni cromosomiche (gap e delezioni cromatidiche) in misura altamente significativa, fino al 270% in più rispetto ai campioni non esposti (controlli). L’autore conclude che le radiazioni del telefono cellulare 3G-UMTS, pur rientrando nei limiti di legge, hanno una significativa azione genotossica sulle cellule umane. Raccomanda di diminuire drasticamente il numero e la durata delle chiamate e di mantenere il device il più lontano possibile dal corpo [Panagopoulos 2019b].

In uno studio pubblicato successivamente dal medesimo autore, “Confronto tra danni cromosomici indotti dalla radiazione dei telefoni mobili e un’alta dose di caffeina: effetti di combinazione e durata dell’esposizione”, lo stesso tipo di cellule degli stessi donatori è stato trattato con un’alta dose di caffeina (circa 290 volte maggiore di quella consentita per un adulto). È stato osservato lo stesso tipo di aberrazioni (gap e delezioni), in misura leggermente minore ma di grado comparabile. La combinazione di tale dose di caffeina e di 15 minuti di esposizione al TC UMTS incrementa considerevolmente il numero di aberrazioni in tutti i soggetti. Gli effetti combinati aumentano in modo quasi lineare con l’aumento della durata dell’esposizione alle radiazioni del TC UMTS. Tale esposizione, 136 volte al di sotto dei limiti ICNIRP [2020], esercita un’azione genotossica maggiore rispetto a quella di una dose di caffeina circa 290 volte superiore rispetto alla dose accettabile per un adulto.

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